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Italo Giovanni Calvino Mameli

 

SCRIVO PER IMPARARE QUALCOSA CHE NON SO

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Io sono la pecora nera - l'unico letterato della famiglia

La letteratura nasce dalla difficoltà di scrivere, non dalla facilità   

Dove la penna ti si inceppa, dove non riesci a esprimerti, da lì e solo da lì potrai cominciare a fare letteratura   

Scava in quel punto, lavoraci, rosicchia il tuo osso con pazienza   

Tutto il resto puoi lasciarlo perdere :    dove la penna scorre facile non nasce niente di buono

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Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto

lafeltrinelli.it - 15.10.2013 - i 90 anni mai compiuti di ic

La poesia è l'arte di far entrare il mare in un bicchiere
poetry is the art of bringing the sea into a glass

Faccio lo scrittore

Cioè scrivo delle cose che alle volte diventano dei libri

che vengono pubblicati e venduti nelle principali librerie

fb/prof piero dorfles - per un pugno di libri - rai3

 

Perché scrivo   -    fb/raicultura :   facebook.com/watch 
Scrivo perché
   
non ero dotato per il commercio, non ero dotato per lo sport, non ero dotato per tante altre, ero un poco …, per usare una fase famosa  - di Sartre -  l’idiota della famiglia … In genere chi scrive è uno che, tra le tante cose che tenta di fare, vede che stare a tavolino e buttar fuori della roba che esce dalla sua testa e dalla sua penna è un modo per realizzarsi e per comunicare.
Scrivo perché    sono insoddisfatto di quel che ho già scritto e vorrei in qualche modo correggerlo, completarlo, proporre un’alternativa. In questo senso non c’è stata una “prima volta” in cui mi sono messo a scrivere. Scrivere è sempre stato cercare di cancellare qualcosa di già scritto e mettere al suo posto qualcosa che ancora non so se riuscirò a scrivere .

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Posso dire che scrivo per comunicare     perché la scrittura è il modo in cui riesco a far passare delle cose attraverso di me, delle cose che magari vengono a me dalla cultura che mi circonda, dalla vita, dall’esperienza, dalla letteratura che mi ha preceduto, a cui do quel tanto di personale che hanno tutte le esperienze che passano attraverso una persona umana e poi tornano in circolazione. È per questo che scrivo. Per farmi strumento di qualcosa che è certamente più grande di me e che è il modo in cui gli uomini guardano, commentano, giudicano, esprimono il mondo: farlo passare attraverso di me e rimetterlo in circolazione. Questo è uno dei tanti modi con cui una civiltà, una cultura, una società vive assimilando esperienze e rimettendole in circolazione.
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Scrivo perché leggendo X    -  un X antico o contemporaneo -  mi viene da pensare: “Ah, come mi piacerebbe scrivere come X! Peccato che ciò sia completamente al di là delle mie possibilità!”.      Allora cerco di immaginarmi questa impresa impossibile, penso al libro che non scriverò mai ma che mi piacerebbe poter leggere, poter affiancare ad altri libri amati in uno scaffale ideale. Ed ecco che già qualche parola, qualche frase si presentano alla mia mente … Da quel momento in poi non sto più pensando a X, né ad alcun altro modello possibile. È a quel libro che penso, a quel libro che non è stato ancora scritto e che potrebbe essere il mio libro !   Provo a scriverlo …

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Scrivo per    imparare qualcosa che non so.      Non mi riferisco adesso all’arte della scrittura, ma al resto: a un qualche sapere o competenza specifica, oppure a quel sapere più generale che chiamano “esperienza della vita”. Non è il desiderio di insegnare ad altri ciò che so o credo di sapere che mi mette voglia di scrivere, ma al contrario la coscienza dolorosa della mia incompetenza. Il mio primo impulso sarebbe dunque di scrivere per fingere una competenza che non ho? Ma per essere in grado di fingere, devo in qualche modo accumulare informazioni, nozioni, osservazioni, devo riuscire a immaginarmi il lento accumularsi dell’esperienza. E questo posso farlo solo nella pagina scritta, dove spero di catturare almeno qualche traccia d’un sapere o d’una saggezza che nella vita ho sfiorato appena e subito perso.

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Nella mia esperienza   la spinta a scrivere è sempre legata alla mancanza di qualcosa che si vorrebbe conoscere e possedere, qualcosa che ci sfugge.   E siccome conosco bene questo tipo di spinta, mi sembra di poterla riconoscere anche nei grandi scrittori le cui voci sembrano giungerci dalla cima d’una esperienza assoluta. Quello che essi ci trasmettono è il senso dell’approccio all’esperienza, più che il senso dell’esperienza raggiunta; il loro segreto è il saper conservare intatta la forza del desiderio  .

In un certo senso, credo che sempre scriviamo di qualcosa che non sappiamo :  scriviamo per rendere possibile al mondo non scritto di esprimersi attraverso di noi. Nel momento in cui la mia attenzione si sposta dall’ordine regolare delle righe scritte e segue la mobile complessità che nessuna frase può contenere o esaurire, mi sento vicino a capire che dall’altro lato delle parole c’è qualcosa che cerca d’uscire dal silenzio, di significare attraverso il linguaggio, come battendo colpi su un muro di prigione  .
mondo scritto e mondo non scritto - 1983

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Ci si mette a scrivere di lena    ma c'è un'ora in cui la penna non gratta che polveroso inchiostro  e non vi scorre più una goccia di vita e la vita è tutta fuori, fuori dalla finestra, fuori di te, e ti sembra che mai più potrai rifugiarti nella pagina che scrivi, aprire un altro mondo, fare il salto.     Forse è meglio così: forse quando scrivevi con gioia non era miracolo né grazia: era peccato, idolatria, superbia.      Ne sono fuori, allora? No, scrivendo non mi sono cambiata in bene: ho solo consumato un po' d'ansiosa incosciente giovinezza.     Che mi varranno queste pagine scontente?     Il libro, il voto, non varrà più di quanto tu vali. Che ci si salvi l'anima scrivendo non è detto.      Scrivi, scrivi, e già la tua anima è persa.

la scrittura - il cavaliere inesistente

 

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Prima di scrivere occorre documentarsi su tutto e sempre

''  le date, i nomi, i titoli. Poi si può iniziare, sapendo però che il cammino per arrivare a un testo appena accettabile è lungo e tortuoso. Parti dal poco, basta una piccola idea, ma netta, precisa, che s’accampi sulla pagina. Su quella bava di ragno potrai sviluppare la ragnatela delle parole. Togli tutti gli affari in ente, prediligi l’aggettivo nitido e lavora di bulino soprattutto sui verbi. Limare non significa cambiare l’impostazione generale, bensì rendere ogni frase il più possibile coerente con il tutto '' .
scriveva tutto - lettere in brutta, risvolti e retri dei libri in corso di stampa - sul retro di  bozze .     ''Si risparmia ed è buon materiale ''  dicevano l’avesse imparato da Pavese.   Scriveva con la biro ... spesso in diagonale ...  spaziando molto tra le righe in una calligrafia non regolare ma comprensibile. Quando non gli andava accartocciava la bozza e ricominciava: l’attacco di una lettera, uno slogan per la pubblicità, un titolo e un sottotitolo. L'ho visto accartocciare e buttare decine e decine di volte lo stesso «lavoro».

davico bonino
michele martino - oblique.it

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leggere vuol dire

Per questa donna …  leggere vuol dire spogliarsi d’ogni intenzione e d’ogni partito preso, per essere pronta a cogliere una voce che si fa sentire quando meno ci s’aspetta, una voce che viene non si sa da dove, da qualche parte al di là del libro, al di là dell’autore, al di là delle convenzioni della scrittura: dal non detto, da quello che il mondo non ha ancora detto di sé e non ha ancora le parole per dire.
IC - if on a winter's night a traveler

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Penso che la lettura non sia paragonabile

con nessun altro mezzo d’apprendimento e di comunicazione, perché la lettura ha un suo ritmo che è governato dalla volontà del lettore;    la lettura apre spazi di interrogazione e di meditazione e di esame critico, insomma di libertà;     la lettura è un rapporto con noi stessi e non solo col libro, col nostro mondo interiore attraverso il mondo che il libro ci apre.
Forse il tempo che potrebbe essere destinato alla lettura sarà sempre più occupato da altre cose;   questo è vero già oggi, ma forse era ancor più vero in passato per la maggior parte degli esseri umani.    Comunque sia, chi ha bisogno di leggere, chi ha piacere di leggere (e leggere è certamente un bisogno-piacere)   continuerà a ricorrere ai libri,   a quelli del passato e a quelli del futuro.

il libro, i libri -  1984 buenos aires - sienanews.it

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Un libro - io credo - è qualcosa con un principio e una fine anche se non è un romanzo in senso stretto. è uno spazio in cui il lettore deve entrare, girare, magari perdersi ma a un certo punto deve trovare un’uscita o magari parecchie uscite.    la possibilità d’aprirsi una strada per venirne fuori.

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Il Buon Lettore aspetta le vacanze con impazienza. Ha rimandato alle settimane che passerà in una solitaria località marina o montana un certo numero di letture che gli stanno a cuore e già pregusta la gioia delle sieste all'ombra, il fruscio delle pagine, l'abbandono al fascino di altri mondi trasmesso dalle fitte righe dei capitoli. Nell'approssimarsi delle ferie, il Buon Lettore gira i negozi dei librai, sfoglia, annusa, ci ripensa, ritorna il giorno dopo a comprare; a casa toglie dallo scaffale volumi ancora intonsi e li allinea tra i fermalibro della sua scrivania.
È l'epoca in cui l'alpinista sogna la montagna che s'approssima a scalare, e pure il Buon Lettore sceglie la sua montagna da prendere di petto. Si tratta, per esempio, di uno dei grandi romanzieri dell'Ottocento, di cui non si può mai dire d'aver letto tutto, o la cui mole ha sempre messo un po' si soggezione al Buon Lettore, o le cui lettura fatte in epoche e età disparate han lasciato ricordi troppo disorganici. Il Buon Lettore quest'estate ha deciso di leggere davvero, finalmente, quell'autore; forse non potrà leggerlo tutto nelle vacanze, ma in quelle settimane tesaurizzerà una prima base di letture fondamentali, e poi, durante l'anno potrà colmare agevolmente e senza fretta le lacune.
Si procura quindi le opere che intende leggere, nei testi originali se sono in una lingua che conosce, se no nella migliore traduzione; preferisce i grossi volumi delle edizioni complessive che contengono più opere, ma non disdegna i volumi di formato tascabile, più adatti per leggere sulla spiaggia o sotto gli alberi o in corriera. Aggiunge qualche buon saggio sull'autore prescelto, o magari un epistolario: ecco che ha per le sue vacanze una compagnia sicura. Potrà grandinare tutto il tempo, i compagni di villeggiatura potranno dimostrarsi odiosi, le zanzare non dar tregua e il vitto essere immangiabile: le vacanze non saranno perdute, il Buon Lettore tornerà arricchito d'un nuovo fantastico mondo.
Questo, s'intende, non è che il piatto principale, poi occorre pensare al contorno. Ci sono le ultime novità librarie delle quali il Buon Lettore vuol mettersi al corrente; ci sono poi nuove pubblicazioni nel suo ramo professionale, per leggere le quali è indispensabile approfittare di quei giorni; e bisogna anche scegliere un po' di libri che siano di carattere diverso da tutti gli altri già scelti, per dare varietà e possibilità di frequenti interruzioni, riposi e cambiamenti di registro.
Ora il Buon Lettore può disporre davanti a sé un piano di letture dettagliatissime, per tutte le occasioni, le ore del giorno, gli umori. Se egli per le ferie ha una casa a disposizione, magari una vecchia casa piena di ricordi d'infanzia, cosa c'è di più bello che predisporre un libro per ogni stanza, uno per la veranda, uno per il capezzale, uno per la sedia a sdraio?
Siamo alla vigilia della partenza. I libri scelti sono tanti che per trasportarli tutti occorrerebbe un baule. Comincia il lavoro di esclusione: «Questo comunque non lo leggerei, questo è troppo pesante, questo non è urgente», e la montagna di libri si sfalda, si riduce alla metà, a un terzo. Ecco che il Buon Lettore è giunto a una scelta di letture essenziali che daranno un tono alle sue vacanze. Nel fare le valige ancora alcuni volumi restano fuori. Il programma si restringe così a poche letture, ma tutte sostanziose; queste ferie segneranno nell'evoluzione spirituale del Buon Lettore una tappa importante.
I giorni di vacanza cominciano a trascorrere veloci.     Il Buon Lettore si trova in ottima forma per fare dello sport, e accumula energie per trovarsi nella situazione fisica ideale per leggere. Dopo pranzo però lo prende una sonnolenza tale, che dorme per tutto il pomeriggio. Bisogna reagire, e a questo proposito giova la compagnia, che quest'anno è insolitamente simpatica. Il Buon Lettore fa molte amicizie ed è mattina e pomeriggio in barca, in gita e la sera a far baldoria fino a tardi.
Certo, per leggere ci vuole solitudine;    il Buon Lettore medita un piano per sganciarsi. Coltivare la sua inclinazione per una ragazza bionda, può essere la via migliore. Ma con la ragazza bionda si passa la mattina a giocare a tennis, il pomeriggio a canasta e la sera a ballare. Nei momenti di riposo, lei non sta mai zitta.
Le ferie sono finite.   Il Buon Lettore ripone i libri intonsi nelle valige, pensa all'autunno, all'inverno, ai rapidi, concentrati quarti d'ora concessi alla lettura prima di addormentarsi, prima di correre in ufficio, in tram, nella sala d'aspetto del dentista.

il buon lettore

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sono nato in America - Interviste 1951-1985
101 interviste di Italo Calvino raccolte in questo volume coprono un arco di tempo di trentacinque anni e costituiscono una scelta molto ampia e rappresentativa di tutte quelle concesse dallo scrittore a giornalisti italiani e stranieri: la gran parte di esse era rimasta finora confinata e nascosta nei giornali e nelle riviste che le avevano a suo tempo ospitate. Con il pretesto di rispondere alle domande dei suoi intervistatori ­ domande che, in moltissimi casi, sono scritte dallo stesso Calvino, ostile a qualunque intrusione biografica che non fosse controllata dallo schermo della scrittura ­ egli affronta gli argomenti più svariati: la riflessione sullo stato della letteratura italiana e straniera; il rapporto tra lingua e dialetto; la passione per il cinema e il teatro; gli scrittori prediletti, sia classici sia contemporanei; la propria parabola politica giovanile e la politica in generale; la scoperta degli Stati Uniti; il terrorismo degli anni '70 e il "neoindividualismo" degli anni '80; il suo rapporto con le città; il futuro dell'uomo e dell'universo. In questi testi, contraddistinti da una lingua più "parlata", in cui cioè l'esattezza e l'eleganza dello stile di Calvino sono appena mitigate dal clima più affabulatorio dell'intervista, i lettori potranno scoprire moltissime informazioni inedite sulla sua vita e le sue opere, in un originale racconto autobiografico che si snoda attraverso i temi particolarmente cari a Calvino.

Penso che l’autoironia sia l’aspetto decisivo dell’umorismo -   sapere che in qualsiasi momento potrei dire il contrario di quello che dico e riuscire a mettere continuamente in discussione le proprie opinioni -   è questa a mio avviso la condizione prima dell’intelligenza.
sono nato in america - interviste 1951-1985

lafeltrinelli.it
Io in fondo odio la parola per questa genericità, per quest’approssimativo. Adesso sento che le parlo e che dico cose generiche e ho un senso di ribrezzo per me stesso. La parola è questa cosa molle, informe, che esce dalla bocca e che mi fa uno schifo infinito. Cercare di far diventare nella scrittura questa parola, che è sempre un po’ schifosa, qualcosa di esatto e di preciso, può essere lo scopo di una vita. Soprattutto quando si vede un deterioramento, quando si vive in una società in cui la parola è sempre più generica, povera. Di fronte a un linguaggio che va o verso la sciatteria o verso l’astrazione, ai vari linguaggi intellettuali che sono sempre appiccicati, lo sforzo verso qualcosa di irraggiungibile, verso un linguaggio preciso, basta a giustificare una vita .

pag 297 - oblio III 9-10 - sono nato in america - da intervista 1979

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La fantasia

è come la marmellata. Se la mangi col cucchiaio ti senti male per il troppo zucchero, ma se la metti su una bella fetta di pane è deliziosa'. E così è per me UN ROMANZo storico: i fatti realmente accaduti sono il pane e quello che fai nell'immaginare i personaggi è la marmellata.     

gaynews

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LA SFIDA AL LABIRINTO    1962
In questo saggio, pubblicato nel numero V de "Il Menabò", Calvino individua come immagine simbolo della realtà  - spaziale, temporale, economica, culturale, ecc.

mclink.it  

quella del labirinto. Questo edificio, caratterizzato da un intrico di stanze e corridoi, rappresenta infatti perfettamente la complessità e la magmaticità del mondo contemporaneo. La reazione degli individui che prendono coscienza di questa realtà si manifesta in due opposti atteggiamenti: la "resa al labirinto" e la "sfida al labirinto". Il primo caratterizza sia coloro che vivono la problematicità del reale come l’unica condizione possibile, arrivando a provare una sorta di compiacimento per l’impossibilità di comprenderlo e controllarlo, sia coloro che , fingendo che il labirinto non esista, ne restano fuori, rifiutando il confronto con qualsiasi difficoltà. Il secondo atteggiamento, quello di "sfida", consiste nell’assumere un ruolo attivo all’interno del labirinto, cercando di analizzarlo razionalmente. E’ quest’ultimo che Calvino ritiene più opportuno e utile e che, secondo lo scrittore, deve caratterizzare l’attività letteraria.

E’ necessario sottolineare, tuttavia, che la "sfida al labirinto" non presuppone necessariamente una vittoria. Qualunque via d’uscita rintracciata, infatti, non rappresenta altro che la via d’accesso ad un nuovo labirinto; non è possibile infatti eliminare la magmaticità del reale, ma ciò non preclude la possibilità di affrontarla attivamente.
lsmarconi.it

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RITRATTI  di tullio pericoli e graziano origa

L'amavo insomma Ed ero infelice
Ma come lei avrebbe potuto capire questa mia infelicità ?
Ci sono quelli che si condannano al grigiore della vita più mediocre

perché hanno avuto un dolore   una sfortuna

ma ci sono anche quelli che lo fanno perché hanno avuto più fortuna

di quella che si sentivano di reggere
 gli amori difficili

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È il 7 agosto 1957. Italo Calvino si dimette dal Pci.

Cari compagni devo comunicarvi la mia decisione ponderata e dolorosa di dimettermi dal partito
a.grossi - unita.it

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    il barone rampante compie 60 anni   1957 - 2017   

Qui giace il Barone Cosimo Piovasco di Rondò

Visse sugli alberi - Amò sempre la terra - Salì in cielo

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LA MIA CASA E' DAPPERTUTTO, DOVE POSSO SALIRE ANDANDO INSU'
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IL BARONE RAMPANTE   1957    -     diventa fumetto ad opera di  claire martin -  le baron perche - 2021

https://youtu.be/NfbnHqxWKo0  - un libro in 5 minuti - proposta di direzione itaca - 2020

studenti.it/il-barone-rampante-riassunto  -  RIASSUNTO

www.lacittadiisaura.it/lo-scrittore-sugli-alberi-un-film-rai  -   FILM RAI - LO SCRITTORE SUGLI ALBERI - 2023

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incipit
Fu il 15 di giugno del 1767
che Cosimo Piovasco di Rondò, mio fratello, sedette per l’ultima volta in mezzo a noi. Ricordo come fosse oggi. Eravamo nella sala da pranzo della nostra villa d’Ombrosa, le finestre inquadravano i folti rami del grande elce del parco. Era mezzogiorno, e la nostra famiglia per vecchia tradizione sedeva a tavola a quell’ora, nonostante fosse già invalsa tra i nobili la moda, venuta dalla poco mattiniera Corte di Francia, d’andare a desinare a metà del pomeriggio. Tirava vento dal mare, ricordo, e si muovevano le foglie. Cosimo disse: – Ho detto che non voglio e non voglio ! – e respinse il piatto di lumache. Mai s’era vista disubbidienza più grave.

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Cosa sai di come sono io, eh, cosa sai ?
S’era fatta dolce e Cosimo a questi passaggi repentini non finiva di stupirsi. Le venne vicino. Viola era d’oro e miele.
- Di’…
- Di’…

Si conobbero

Lui conobbe lei e se stesso perché in verità non s’era mai saputo.

E lei conobbe lui e se stessa perché pur essendosi saputa sempre mai s’era potuta riconoscere così ...

cap XXI pag 713

Cosimo tutti i giorni era sul frassino a guardare il prato come se in esso potesse leggere qualcosa che da tempo lo struggeva dentro: l’idea stessa della lontananza, dell’incolmabilità, dell’attesa che può prolungarsi oltre la vita.   Un giorno Cosimo guardava dal frassino.   Brillò il sole, un raggio corse sul prato che da verde pisello diventò verde smeraldo. Laggiù nel nero del bosco di querce qualche fronda si mosse e ne balzò un cavallo. Il cavallo aveva in sella un cavaliere, nerovestito, con un mantello, no: una gonna; non era un cavaliere, era un’amazzone, correva a briglia sciolta ed era bionda.   A Cosimo cominciò a battere il cuore e lo prese la speranza che quell’amazzone si sarebbe avvicinata fino a poterla veder bene in viso, e che quel viso si sarebbe rivelato bellissimo. Ma oltre a quest’attesa del suo avvicinarsi e della sua bellezza c’era una terza attesa, un terzo ramo di speranza che s’intrecciava agli altri due ed era il desiderio che questa sempre più luminosa bellezza rispondesse a un bisogno di riconoscere un’impressione nota e quasi dimenticata, un ricordo di cui è rimasta solo una linea, un colore e si vorrebbe far riemergere tutto il resto o meglio ritrovarlo in qualcosa di presente.    E con quest’animo non vedeva l’ora che ella s’avvicinasse al margine del prato vicino a lui, dove torreggiavano i due pilastri dei leoni; ma quest’attesa cominciò a diventare dolorosa, perché s’era accorto che l’amazzone non tagliava il prato in linea retta verso i leoni, ma diagonalmente, cosicché sarebbe presto scomparsa di nuovo nel bosco. Già stava per perderla di vista, quand’ella voltò bruscamente il cavallo e adesso tagliava il prato in un’altra diagonale, che gliel’avrebbe portata certo un po’ più vicina, ma l’avrebbe ugualmente fatta scomparire dalla parte opposta del prato.     In quel mentre Cosimo s’avvide con fastidio che dal bosco erano sbucati sul prato due cavalli marrone, montati da cavalieri, ma cercò di eliminare subito questo pensiero, decise che quei cavalieri non contavano nulla, bastava vedere come sbatacchiavano qua e là dietro di lei, certo non erano da tenere in nessuna considerazione, eppure, doveva ammettere, gli davano fastidio .

sintesi

Gli olivi, per il loro andar torcendosi, sono a Cosimo vie comode e piane, piante pazienti e amiche, nella ruvida scorza, per passarci e per fermarcisi, sebbene i rami grossi siano pochi e non ci sia gran varietà di movimenti.   Su un fico, invece, stando attento che regga il peso, non s’è mai finito di girare; Cosimo sta sotto il padiglione delle foglie, vede in mezzo alle nervature trasparire il sole, i frutti verdi gonfiare poco a poco, odora il lattice che geme nel collo dei peduncoli .    Il fico ti fa suo, t’impregna del suo umore gommoso, dei ronzii dei calabroni; dopo poco a Cosimo pareva di stare diventando un fico lui stesso e, messo a disagio, se ne andava. Sul duro sorbo o sul gelso da more, si sta bene;  peccato siano rari .   Così i noci, che anche a me che è tutto dire, alle volte vedendo mio fratello perdersi in un vecchio noce sterminato, come in un palazzo di molti piani e innumerevoli stanze, veniva voglia d’imitarlo, d’andare a star lassù; tant’è la forza e la certezza che quell’albero mette a essere albero,  l’ostinazione a esser pesante e duro,  che gli s’esprime persino nelle foglie .

incipit cap X - 1957

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La vicenda narrata inizia il 15 giugno 1767, quando il figlio di un nobile Ligure, il Baroncino Cosimo Piovasco di Rondò ancora dodicenne, decide per protesta di andare a rifugiarsi su un albero e di non scendere più. Questa decisione, presa d’impulso, era però stata causata da numerose controversie del giovane e del suo fratello Biagio (il narratore) con il padre Arminio e la sorella Battista. I genitori si accorgono ben presto che l’atto del figlio non è solo una protesta, ma molto di più: Cosimo, infatti, decide che non metterà mai più piede a terra. Da questa profonda convinzione è condizionata tutta la sua vita sugli alberi, che si rivelerà piena d’avventure ma comunque molto simile a quella terrena. Il primo giorno, spostandosi da un ramo all’altro, arriva nel giardino dei d’Ondariva dove conosce la graziosa Viola di cui si innamora, ma che se ne andrà presto. Durante le sue avventure gira su gran parte del territorio ligure spostandosi da ramo in ramo divenendo sempre più abile, e ce  rcando di migliorare la sua condizione con comode invenzioni. Si accompagna di un bassotto di nome Ottimo Massimo che lo aiuta nella caccia e che lo segue fedelmente da terra; Cosimo conosce le bande di ragazzi ladri di frutta, istruisce alla lettura il pericoloso brigante Gian dei Brughi, sconfigge pirati, spegne incendi, si interessa delle correnti di pensiero europee e conosce degli esiliati spagnoli costretti a vivere sugli alberi ad Olivabassa, tra cui Ursula, di cui si innamora ma che è costretto a lasciare terminato il periodo di esilio. Da adulto riceve il titolo di Barone dal padre e trascorre la sua vita procurandosi cibo e interessandosi di tutto ciò che potesse sviluppare la sua cultura, fino a quando un bel giorno torna Viola, cresciuta ma non cambiata nel carattere: da allora i due trascorreranno giornate felici fatte d’incontri amorosi, ma anche litigi e scontri, che porteranno poi alla loro separazione definitiva.
Da questa vicenda Cosimo esce distrutto e per un lungo periodo si ammala rischiando la vita. Una volta ripreso, viene iniziato alla Massoneria, e ad altre congregazioni segrete, combatte i gesuiti, fa una specie di quaderno di doglianza, incontra Napoleone Bonaparte e successivamente lo zar di Russia, partecipando attivamente agli scontri nella boscaglia in favore dei francesi. Da vecchio è diventato ormai una persona celebre per la sua stravaganza anche all’estero, ma ormai fatica a muoversi e trascorre le sue giornate sull’albero al centro della piazza di Ombrosa, fino a quando una mongolfiera passa vicino alla cima dell’albero e Cosimo con un balzo vi si attacca, facendo perdere per sempre le sue tracce.

skuola.net

raistoria.rai.it/calvino-lo-scrittore-rampante   -   studenti.it/il-barone-rampante 

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vivi sugli alberi e hai la mentalità d'un notaio con la gotta.
Le imprese più ardite vanno vissute con l'animo più semplice.

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Ecco perché aveva scelto gli alberi .    Gli dava piacere vedere il mondo da lassù e sentirsi libero di scendere  quando voleva .

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Cosimo aveva preso una smisurata passione per la lettura e per lo studio, che gli restò poi per la vita .  L’atteggiamento abituale in cui lo s’incontrava adesso, era con un libro aperto in mano, seduto a cavalcioni d’un ramo comodo, oppure appoggiato a una forcella come a un banco da scuola, un foglio posato su una tavoletta, il calamaio in un buco dell’albero, scrivendo con una lunga penna d’oca  .

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l'abate, si sa, aveva quella disposizione remissiva e accomodante che gli veniva da una superiore coscienza della vanità del tutto; e cosimo se ne approfittava.

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S’accorgeva che tante cose non gli importavano più, che senza Viola la vita non gli prendeva più sapore, che il suo pensiero correva sempre a lei. Più cercava, fuori dal turbine della presenza di Viola, di ripadroneggiare le passioni e i piaceri in una saggia economia dell’animo, più sentiva il vuoto da lei lasciato o la febbre d’attenderla.

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Quando lui restava solo un velo di malinconia passava sul suo viso, come le nuvole passano sul sole .

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Le imprese che si basano su di una tenacia interiore devono essere mute e oscure; per poco uno le dichiari o se ne glori, tutto appare fatuo, senza senso o addirittura meschino.

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MA IN TUTTA QUELLA SMANIA C’ERA UN’INSODDISFAZIONE PIÙ PROFONDA, UNA MANCANZA, IN QUEL CERCARE GENTE CHE L’ASCOLTASSE C’ERA UNA RICERCA DIVERSA. COSIMO NON CONOSCEVA ANCORA L’AMORE, E OGNI ESPERIENZA, SENZA QUELLA, CHE È? CHE VALE AVER RISCHIATO LA VITA, QUANDO ANCORA DELLA VITA NON CONOSCI IL SAPORE?

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Un gentiluomo, signor padre, è tale stando in terra come stando in cima agli alberi, – rispose Cosimo, e subito aggiunse: – se si comporta rettamente.

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insomma c'erano anche da noi tutte le cause della rivoluzione francese. solo che non eravamo in francia e la rivoluzione non ci fu. viviamo in un paese dove si verificano sempre le cause e non gli effetti.

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E lei :   Tu credi che l'amore sia dedizione assoluta, rinuncia di sé .
Era lì sul prato, bella come mai e la freddezza che induriva appena i suoi lineamenti e l'altero portamento della persona sarebbe bastato un niente a scioglierli, e riaverla tra le braccia … Poteva dire qualcosa, Cosimo, una qualsiasi cosa per venirle incontro, poteva dirle :   Dimmi che cosa vuoi che faccia, sono pronto.

e sarebbe stata di nuovo felicità per lui, la felicità insieme senza ombre .   Invece disse :   Non ci può essere amore se non si è sé stessi con tutte le proprie forze  .
Viola ebbe un moto di contrarietà che era anche un moto di stanchezza  .

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Anche per chi ha passato tutta la vita in mare c'è un'età in cui si sbarca .

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L'avvertì il padre e si fece più stringente: — La ribellione non si misura a metri, — disse. — Anche quando pare di poche spanne, un viaggio può restare senza ritorno.
Adesso mio fratello avrebbe potuto dare un'altra nobile risposta, magari una massima latina, che ora non me ne viene in mente nessuna ma allora ne sapevamo tante a memoria. Invece s'era annoiato a star lì a fare il solenne; cacciò fuori la lingua e gridò: — Ma io dagli alberi piscio più lontano! — frase senza molto senso, ma che troncava netto la questione.

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Ecco, in men che Cosimo s'aspettasse, la donna a cavallo era giunta al margine del prato vicino a lui, ora passava tra i due pilastri sormontati dai leoni quasi fossero stati messi per farle onore, e si voltava verso il prato e tutto quello che v'era al di là del prato con un largo gesto come d'addio, e galoppava avanti, passava sotto il frassino, e Cosimo ora l'aveva vista bene in viso e nella persona, eretta in sella, il viso di donna altera e insieme di fanciulla, la fronte felice di stare su quegli occhi, gli occhi felici di stare su quel viso, il naso la bocca il mento il collo ogni cosa di lei felice d'ogni altra cosa di lei, e tutto tutto tutto ricordava la ragazzina vista a dodici anni sull'altalena il primo giorno che passò sull'albero: Sofonisba Viola Violante di Ondariva.

cap 21

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A Cosimo, comprendere il carattere di Enea Silvio Carrega giovò in questo: che capì molte cose sullo star soli che poi nella vita gli servirono. Direi che si portò sempre dietro l’immagine stranita del Cavalier Avvocato, ad avvertimento di un modo come può diventare l’uomo che separa la sua sorte da quella degli altri, e riuscì a non somigliargli mai, riuscì, pur stando solo, a sentirsi sempre dalla parte del prossimo.

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Cosimo salì fino alla forcella d’un grosso ramo dove poteva stare comodo, e si sedette lì, a gambe penzoloni, a braccia incrociate con le mani sotto le ascelle, la testa insaccata nelle spalle, il tricorno calcato sulla fronte.
Nostro padre si sporse sul davanzale. – Quando sarai stanco di star lì cambierai idea! – gli gridò.
- Non cambierò mai idea, - fece mio fratello, dal ramo.
- Ti farò vedere io appena scendi !
- E io non scenderò più ! - E mantenne la parola.

...

– Tu ragioni troppo.  Perché mai l'amore va ragionato ?
– Per amarti di più.  Ogni cosa, a farla ragionando, aumenta il suo potere.

.  pag 192

...

Chi vuole guardare bene la terra deve tenersi alla distanza necessaria .

cap 20

...

- PERCHE MI FAI SOFFRIRE ?
- Perché ti amo.

  Ora era lui ad arrabbiarsi : - No, non mi ami ! Chi ama vuole la felicità, non il dolore .
- Chi ama vuole solo l'amore, anche a costo del dolore .
- Mi fai soffrire apposta allora ?
- Sì, per vedere se mi ami .
  La filosofia del barone si rifiutava di andare oltre:  Il dolore è uno stato negativo dell'anima .
- L'amore è tutto .
- Il dolore va sempre combattuto .
- L'amore non si rifiuta a nulla .
- Certe cose non le ammetterò mai .
- Sì che le ammetti, perché mi ami e soffri .

...

Pareva la sola che riuscisse ad accettarlo com'era, forse perché non tentava di darsene una spiegazione.

...

E mi amerai sempre -  assolutamente -  sopra ogni cosa ?   e sapresti fare qualsiasi cosa per me ?

...

La disobbedienza acquista un senso solo quando diventa una disciplina morale più rigorosa e ardua di quella a cui si ribella.

...

Si guardarono con cortesia  come due persone di riguardo che s'incontrano per caso e sono contente di non essere sconosciute l'una all'altra.

...

Di rado tanta bellezza s’è accompagnata a tanta irrequietudine, - disse il mio amico. – I pettegoli vogliono che a Parigi ella passi da un amante all’altro, in una giostra così continua da non permettere a nessuno di dirla sua e dirsi privilegiato. Ma ogni tanto sparisce per mesi e mesi e dicono si ritiri in un convento, a macerarsi nelle penitenze.
cap XXIII

...

Era il tempo in cui andavano scoprendosi, raccontandosi le loro vite, interrogandosi .
- E ti sentivi solo ?
- Mi mancavi tu .
- Ma solo rispetto al resto del mondo ?
- No .  Perché ?  Avevo sempre qualcosa da fare con altra gente: ho colto frutta, ho studiato filosofia .  Non è così per tutti ?
- Tu solo sei così, perciò ti amo .

...

Dovendo passare la vita sugli alberi Cosimo decide di esplorare il territorio al di fuori della sua città e si inoltra nella foresta  .
...

Se alzi un muro pensa a ciò che resta fuori.  
¡ Si levantas un muro, piensa en lo que queda fuera !

...

L’amore riprendeva con una furia pari a quella del litigio .    Era difatti la stessa cosa, ma Cosimo non ne capiva niente .

...

Ai lutti succedono presto o tardi eventi lieti, è legge della vita.

...

Perché la pazzia è una forza della natura, nel male o nel bene, mentre la minchioneria è una debolezza della natura, senza contropartita.
XXIV

 

Stavano venendo dei tempi magari più tolleranti ma più ipocriti

...

La mia casa è dappertutto

dove posso salire andando in su

.

 

 

 

 

 

 

COSIMO - in immagini
L’illustratore spagnolo Roger Olmos ha messo in immagini – e solo in immagini, del tutto prive di testi – il celebre romanzo di Italo Calvino. Ne è nato un silent book comunque di grande pregnanza narrativa, oltre che di singolare valore estetico.
...

una sola riga di testo ... :

Dedicato a Italo Calvino e a tutti coloro che sono fedeli a sé stessi .
... vita disavventurosa di Cosimo Piovasco di Rondò (giovane nobile del Settecento pre- e post-Rivoluzione Francese che, dopo un dissidio col padre, per non aver voluto mangiare un piatto di viscide lumache, salì su un albero e non volle più scendere a terra per tutto il resto della sua vita) si è innestato un rigoglioso rampollo solo disegnato, dal pertinente titolo minimalista Cosimo.

ferruccio gironimi - artribune.com - 2016

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Casa Italiana Zerilli-Marimò NYU - trilogia i nostri antenati - legge richard gere - presente giovanna figlia di italo calvino
- Sono qui per onorare Italo Calvino e le sue parole.    E vorrei poterlo leggere in italiano
- Richard Gere
- It was the fifteenth of June in 1767 when Cosimo Piovasco di Rondò, my brother, sat among us for the last time. I remember as if it were today. We were in the dining room of our villa in Ombrosa, the windows framing the thick branches of the great holm oak in the park. It was midday, and our family, following the old custom, sat down to dinner at that hour, even though among the nobility it was now the fashion, inspired by the late-rising court of France, to dine in the middle of the afternoon.
giovanna pavesi - lavocedinewyork.com - 2017

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ossessionato dall'idea di fare questo film ... sarebbe bellissimo creare un parallelo tra la vita selvaggia scelta da Cosimo e tutto ciò che di selvaggio c'è ancora in America, un Paese in cui basta allontanarsi anche di poco da una città per ritrovarsi in mezzo a una foresta o a spazi sterminati .
Richard Gere - NYU
a24red - america24.com - 2018

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Il Castello dei Destini Incrociati
Le generazioni si guardano torve -  si parlano solo per non capirsi -  per darsi a vicenda la colpa di crescere infelici e di morire delusi .

Quando le carte affiancate a caso mi davano una storia in cui riconoscevo un senso, mi mettevo a scriverla; accumulai così parecchio materiale; posso dire che gran parte della Taverna dei destini incrociati è stata scritta in questa fase; ma non riuscivo a disporre le carte in un ordine che contenesse e comandasse la pluralità dei racconti; cambiavo continuamente le regole del gioco, la struttura generale, le soluzioni narrative. Stavo per arrendermi, quando l'editore Franco Maria Ricci m'invitò a scrivere un testo per il volume sui tarocchi viscontei. Dapprincipio pensavo d'utilizzare le pagine che avevo già scritto, ma mi resi conto subito che il mondo delle miniature quattrocentesche era completamente diverso da quello delle stampe popolari marsigliesi ... Provai subito a comporre con i tarocchi viscontei sequenze ispirate all' Orlando Furioso; mi fu facile così costruire l'incrocio centrale dei racconti del mio "quadrato magico". Intorno, bastava lasciare che prendessero forma altre storie che s'incrociavano tra loro, e ottenni così una specie di cruciverba fatto di figure anziché di lettere, in cui per di più ogni sequenza si può leggere nei due sensi .

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È in cielo che tu devi salire, Astolfo, su nei campi pallidi della luna, dove uno sterminato deposito conserva dentro ampolle messe in fila, le storie che gli uomini non vivono, i pensieri che bussano una volta alla soglia della coscienza e svaniscono per sempre, le particelle del possibile scartate nel gioco delle combinazioni, le soluzioni a cui si potrebbe arrivare e non si arriva.

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ogni scelta ha un rovescio cioè una rinuncia e così non c’è differenza tra l’atto di scegliere e l’atto di rinunciare .

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Così ho messo tutto a posto. Sulla pagina, almeno. Dentro di me tutto resta come prima.

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Stiamo tutti col fiato sospeso, sul punto di comprendere che il drago non è solo il nemico, il diverso, l’altro, ma siamo noi, è una parte di noi stessi che dobbiamo giudicare.

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C’è un modo colpevole di abitare la città

accettare le condizioni della bestia feroce dandogli in pasto i nostri figli. C’è un modo colpevole di abitare la solitudine: credersi tranquillo perché la bestia feroce è resa inoffensiva da una spina nella zampa. L’eroe della storia è colui che nella città punta la lancia nella gola del drago, e nella solitudine tiene con sé il leone nel pieno delle sue forze, accettandolo come custode e genio domestico, ma senza nascondersi la sua natura di belva.

1973
http://it.wikipedia.org/wiki/Il_castello_dei_destini_incrociati

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Voglio ancora informare che per un certo tempo nelle mie intenzioni questo volume avrebbe dovuto contenere non due ma tre testi.

Dovevo cercare un terzo mazzo di tarocchi abbastanza diverso dagli altri due? A un certo momento sopravvenne in me un senso di fastidio per la prolungata frequentazione di questo repertorio iconografico medieval - rinascimentale che obbligava il mio discorso a svolgersi entro certi binari. Sentii il bisogno di creare un brusco contrasto ripetendo un’operazione analoga con materiale visuale moderno. Ma qual è l’equivalente contemporaneo dei tarocchi come rappresentazione dell’inconscio collettivo? Pensai ai fumetti: non a quelli comici ma a quelli drammatici, avventurosi, paurosi :  gangsters, donne terrorizzate, astronavi, vamps, guerra aerea, scienziati pazzi. Pensai di affiancare alla Taverna e al Castello, entro una cornice analoga, il Motel dei destini incrociati. Alcune persone scampate ad una catastrofe misteriosa trovano rifugio in un motel semidistrutto, dove è rimasto solo un foglio di giornale bruciato: la pagina dei fumetti.  I sopravvissuti, che hanno perso la parola per lo spavento, raccontano le loro storie indicando le vignette, ma non seguendo l’ordine di ogni strip: passando da una strip all’altra in colonne verticali o in diagonale. Non sono andato più in là della formulazione dell’idea così come l’ho esposta ora. Il mio interesse teorico ed espressivo per questo tipo d’esperimenti si è esaurito. È tempo (da ogni punto di vista) di passare ad altro.
parte 1 - la città nel fumetto  -  IC su  genesi de il castello dei destini incrociati 1973
books.google.it

Lasciatemi così

Ho fatto tutto il giro e ho capito

Il mondo si legge all’incontrario

Tutto è chiaro
... Nell’ultima carta si contempla il paladino legato a testa in giù come L’Appeso .

E finalmente ecco il suo viso diventato sereno e luminoso, l’occhio limpido

come neppure nell’esercizio delle sue ragioni passate.
Cosa dice ?   Dice : Lasciatemi così . Ho fatto tutto il giro e ho capito .  

Il mondo si legge all’incontrario .  Tutto e chiaro .

il castello dei destini incrociati - 1973

 

 

e' con questo zig zag tracciato dai cavalli al galoppo e dalle intermittenze del cuore umano che veniamo introdotti nello spirito del poema; il piacere della rapidità dell'azione si mescola subito a un senso di larghezza nella disponibilità dello spazio e del tempo.
orlando furioso di ludovico ariosto - raccontato da italo calvino  - 1970

studenti.it/orlando-furioso-raccontato-italo-calvino

 

 

*

 

LA PECORA NERA  - da prima che tu dica pronto
C’era un paese dove erano tutti ladri. La notte ogni abitante usciva, coi grimaldelli e la lanterna cieca, e andava a scassinare la casa di un vicino. Rincasava all’alba, carico, e trovata la casa svaligiata.
E così tutti vivevano in concordia e senza danno, poiché l’uno rubava all’altro, e questo a un altro ancora e così via, finché non si rubava a un ultimo che rubava al primo. Il commercio in quel paese si praticava solo sotto forma d’imbroglio e da parte di chi vendeva e da parte di chi comprava. Il gov erno era un’associazione a delinquere ai danni dei sudditi, e i sudditi dal canto loro badavano solo a frodare il governo. Così la vita proseguiva senza inciampi, e non c’erano né ricchi né poveri. Ora, non si sa come, accadde che nel paese di venisse a trovare un uomo onesto. La notte, invece di uscirsene col sacco e la lanterna, stava in casa a fumare e a leggere romanzi. Venivano i ladri, vedevano la luce accesa e non salivano.
Questo fatto durò per un poco: poi bisognò fargli comprendere che se lui voleva vivere senza far niente, non era una buona ragione per non lasciar fare agli altri.
Ogni notte che lui passava in casa, era una famiglia che non mangiava l’indomani. Di fronte a queste ragioni l’uomo onesto non poteva opporsi. Prese anche lui a uscire la sera per tornare all’alba, ma a rubare non ci andava. Onesto era, non c’era nulla da fare. Andava fino al ponte e stava a veder passare l’acqua sotto. Tornava a casa, e la trovava svaligiata.
In meno di una settimana l’uomo onesto si trovò senza un soldo, senza di che mangiare, con la casa vuota. Ma fin qui poco male, perché era colpa sua; il guaio era che da questo suo modo di fare ne nasceva tutto un cambiamento. Perché lui si faceva rubare tutto e intanto non rubava a nessuno; così c’era sempre qualcuno che rincasando all’alba trovava la casa intatta: la casa che avrebbe dovuto svaligiare lui. Fatto sta che dopo un poco quelli che non venivano derubati si trovarono ad essere più ricchi degli altri e a non voler più rubare. E, d’altronde, quelli che venivano per rubare in casa dell’uomo onesto la trovarono sempre vuota; così diventavano poveri. Intanto, quelli diventati ricchi presero l’abitudine anche loro di andare la notte sul punte, a veder l’acqua che passava sotto. Questo aumentò lo scompiglio, perché ci furono molti altri che diventarono ricchi e molti altri che diventarono poveri.
Ora, i ricchi videro che ad andare la notte sul punte, dopo un po’ sarebbero diventati poveri.
E pensarono: – Paghiamo dei poveri che vadano a rubare per conto nostro -. Si fecero i contratti, furono stabiliti i salari, le percentuali: naturalmente sempre ladri erano, e cercavano di ingannarsi gli uni con gli altri. Ma, come succede, i ricchi diventavano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. C’erano dei ricchi così ricchi da non avere più bisogno di rubare per continuare a esser ricchi. Però se smettevano di rubare diventavano poveri perché i poveri li derubavano. Allora pagarono i più poveri dei poveri per difendere la roba loro dagli altri poveri, e così istituirono la polizia, e costruirono le carceri.
In tal modo, già pochi anni dopo l’avvenimento dell’uomo onesto, non si parlava più di rubare o di esser derubati ma solo di ricchi e poveri; eppure erano sempre tutti ladri. Di onesti c’è stato solo quel tale, ed era morto subito, di fame.
books.google.it - librimondadori.it
1944 - IC aveva 21 anni -   da prima che tu dica pronto - postumo 1993 - contiene in particolare racconti giovanili 1943-1945 - racconti e apologhi 1947-195814 racconti e dialoghi 1968-1984

 

bibliografia
1. Il sentiero dei nidi di ragno 1947
2. Ultimo viene il corvo 1949
3. Il visconte dimezzato 1952
4. L'entrata in guerra 1954
5. Il midollo del leone 1955, saggio
6. Fiabe italiane 1956
7. Il barone rampante 1957
8. La nuvola di smog 1958
9. Racconti 1958
10. Il cavaliere inesistente 1959
11. La giornata di uno scrutatore 1963
12. Marcovaldo 1963
13. La speculazione edilizia 1963
14. Le cosmicomiche 1965
15. Ti con zero 1967
16. Il castello dei destini incrociati 1969
17. Le città invisibili 1972   -  anche in audiolibro
18. Se una notte d'inverno un viaggiatore ... 1979
19. Una pietra sopra 1980
20. Palomar 1983
21. Collezione di sabbia 1984
22. Cosmicomiche vecchie e nuove 1984
23. Sotto il sole giaguaro 1986, postumo
24. Lezioni americane. Sei parole per il prossimo millennio 1988, saggio, postumo
25. Sulla fiaba 1988, postumo
26. La strada di San Giovanni 1990, postumo
27. I libri degli altri. Lettere 1947-1981  - 1991, lettere, postumo

ilpotereelagloria.com

www.newyorker.com/contributors/italo-calvino  - testi in inglese

 

 

 

    ITALO CALVINO FU IL PRIMO GRANDE TRADUTTORE DI RAYMOND QUENEAU  - I FIORI BLU   

 

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IL CAVALIERE INESISTENTE

L’arte di scriver storie

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Per questo la mia penna

a un certo punto s'è messa a correre. Incontro a lui, correva; sapeva che non avrebbe tardato ad arrivare. La pagina ha il suo bene solo quando la volti    e c'è la vita dietro che spinge e scompiglia tutti i fogli del libro. La penna corre spinta dallo stesso piacere che ti fa correre le strade.
Il capitolo che attacchi e non sai ancora quale storia racconterà è come l'angolo che svolterai uscendo dal convento e non sai se ti metterà a faccia con un drago, uno stuolo barbaresco, un'isola incantata, un nuovo amore.

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Così sempre corre il giovane verso la donna

ma è davvero amore per lei a spingerlo ?  O non è amore soprattutto di sé, ricerca d’una certezza d’esserci che solo la donna gli può dare ?

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FERMAVA IL CAVALLO

A OGNI UFFICIALE E SI VOLTAVA A GUARDARLO DAL SU INGIÚ .  - E CHI SIETE VOI, PALADINO DI FRANCIA ?
- SALOMON DI BRETAGNA, SIRE ! - RISPONDEVA QUELLO A TUTTA VOCE, ALZANDO LA CELATA E SCOPRENDO IL VISO ACCALORATO; E AGGIUNGEVA QUALCHE NOTIZIA PRATICA, COME SAREBBE: - CINQUEMILA CAVALIERI, TREMILACINQUECENTO FANTI, MILLEOTTOCENTO I SERVIZI, CINQUE ANNI DI CAMPAGNA.
- SOTTO COI BRÈTONI, PALADINO! - DICEVA CARLO, E TOCTOC, TOC TOC, SE NE ARRIVAVA A UN ALTRO CAPO DI SQUADRONE.
- ECCHISIETEVÒI, PALADINO DI FRANCIA ? - RIATTACCAVA.
- ULIVIERI DI VIENNA, SIRE ! - SCANDIVANO LE LABBRA APPENA LA GRIGLIA DELL’ELMO S’ERA SOLLEVATA. E LÌ - TREMILA CAVALIERI SCELTI, SETTEMILA LA TRUPPA, VENTI MACCHINE DA ASSEDIO. VINCITORE DEL PAGANO FIERABRACCIA PER GRAZIA DI DIO E GLORIA DI CARLO RE DEI FRANCHI !
- BEN FATTO, BRAVO IL VIENNESE, - DICEVA CARLOMAGNO, E AGLI UFFICIALI DEL SEGUITO :  -  MAGROLINI QUEI CAVALLI, AUMENTATEGLI LA BIADA- .
E ANDAVA AVANTI: - ECCHISIETEVÒI, PALADINO DI FRANCIA? - RIPETEVA, SEMPRE CON LA STESSA CADENZA : ' TÀTTA TATATÀI TÀTA TÀTATATÀTA ... '
- BERNARDO DI MOMPOLIER, SIRE ! VINCITORE DI BRUNAMONTE E GALIFERNO.
- BELLA CITTÀ MOMPOLIER ! CITTÀ DELLE BELLE DONNE ! -  E AL SEGUITO :  -  VEDI SE LO PASSIAMO DI GRADO - .   TUTTE COSE CHE DETTE DAL RE FANNO PIACERE, MA ERANO SEMPRE LE STESSE BATTUTE, DA TANTI ANNI.

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Cos’è questa furia che mi spinge

questa smania di battaglia e d’amori, vista dal punto donde guardano i tuoi occhi sbarrati, la tua testa riversa che sbatacchia sulle pietre ?     Ci penso, o morto, mi ci fai pensare; ma cosa cambia? Nulla .      Non ci sono altri giorni che quei nostri giorni prima della tomba, per noi vivi e anche per voi morti .     Che mi sia dato di non sprecarli, di no sprecare nulla di ciò che sono e di ciò che potrei essere. Di compiere azioni egregie per l’esercito franco  .

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Scrivi, scrivi, e già la tua anima è persa

Forse non è stata scelta male questa mia penitenza, dalla madre badessa: ogni tanto mi accorgo che la penna ha preso a correre sul foglio come da sola, e io a correrle dietro. È verso la verità che corriamo, la penna e io, la verità che aspetto sempre che mi venga incontro, dal fondo d'una pagina bianca, e che potrò raggiungere soltanto quando a colpi di penna sarò riuscita a seppellire tutte le accidie, le insoddisfazioni, l'astio che sono qui chiusa a scontare.

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Questa storia che ho intrapreso a scrivere

è ancora più difficile di quanto io non pensassi. Ecco che mi tocca rappresentare la più gran follia dei mortali, la passione amorosa, dalla quale il voto, il chiostro e il naturale pudore m’hanno fin qui scampata     …     Dunque anche dell’amore come della guerra dirò alla buona quel che riesco a immaginarn e :    l’arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s’accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla .
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Così sempre corre il giovane verso la donna

ma è davvero amore per lei a spingerlo? o non è amore soprattutto di sé, ricerca d'una certezza d'esserci che solo la donna gli può dare? Corre e s'innamora il giovane, insicuro di sé, felice e disperato, e per lui la donna è quella che certamente c'è, e lei sola può dargli quella prova. Ma la donna anche lei c'è e non c'è: eccola di fronte a lui, trepidante anch'essa, insicura, come fa il giovane a non capirlo? Cosa importa chi trai due è il forte e chi il debole? Sono pari. Ma il giovane non lo sa perché non vuole saperlo: quella di cui ha fame è la donna che c'è, la donna certa. Lei invece sa più cose; o meno; comunque sa cose diverse; ora è un diverso modo d'essere che cerca.E così imperversa e non si dà ragione e a un certo punto l'innamoramento di lei è pure innamoramento di sé, di sé innamorato di lei, è innamoramento di quel che potrebbero essere loro due insieme, e non sono. Anche ad essere si impara ...
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E così imperversa e non si dà ragione

e a un certo punto l’innamoramento di lei è pure innamoramento di sé,   di sé innamorato di lei,    è innamoramento di quel che potrebbero essere loro due insieme, e non sono.    E in questa furia Rambaldo correva alla sua tenda, preparava cavallo armi bisacce, partiva anch’egli, perché la guerra la combatti bene solo se tra le punte delle lance intravedi una bocca di donna, e tutto, le ferite il polverone l’odore dei cavalli, non ha sapore che di quel sorriso.

cap VII

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Rambaldo

prese a battere il bosco sentiero per sentiero, e fuor dei sentieri per dirupi e torrenti, chiamando, tendendo l'orecchio, cercando un segno, una traccia  .    Ecco un’impronta di ferri di cavallo .   In un punto appaiono marcate più fonde come se l’animale vi si fosse fermato  .

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Dovrò considerare pari a me     

questo scudiero, Gurdulù, che non sa nemmeno se c’è o non c’è?
.  imparerà anche lui… Neppure noi sapevamo di essere al mondo… Anche ad essere s’impara.

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Non ti accorgi

che anch’io sono uno che si muove maldestro, che ogni mio gesto tradisce il desiderio, l’insoddisfazione, l’inquietudine ?
Ma anch’io quello che voglio è soltanto l’essere uno che sa quello che vuole
!
il cavaliere inesistente 1959

studenti.it/riassunto-sintesi

 

*

PALOMAR

In un’epoca e in un paese  in cui tutti si fanno in quattro per proclamare opinioni o giudizi, il signor Palomar ha preso l'abitudine di mordersi la lingua tre volte prima di fare qualsiasi affermazione.

Se al terzo morso di lingua è ancora convinto della cosa che stava per dire, la dice; se no sta zitto. Di fatto, passa settimane e mesi interi in silenzio.
Buone occasioni per tacere non mancano mai, ma si dà pure il raro caso che il signor Palomar rimpianga di non aver detto qualcosa che avrebbe potuto dire al momento opportuno. S'accorge che i fatti hanno confermato quel che lui pensava, e che se allora avesse espresso il suo pensiero forse avrebbe avuto una qualche influenza positiva, sia pur minima, su quel che è avvenuto. In questi casi il suo animo è diviso tra il compiacimento di aver pensato giusto e un senso di colpa per la sua eccessiva riservatezza. Sentimenti entrambi così forti, che egli è tentato d'esprimerli a parole; ma dopo essersi morsicato la lingua tre volte, anzi sei, si convince che non ha nessun motivo né d'orgoglio né di rimorso.
palomarin società - del mordersi la lingua

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Il signor Palomar è in piedi sulla riva e guarda un’onda .   Non che egli sia assorto nella contemplazione delle onde. Non è assorto, perché sa bene quello che fa: vuole guardare un’onda e la guarda. Non sta contemplando, perché per la contemplazione ci vuole un temperamento adatto, uno stato d’animo adatto e un concorso di circostanze esterne adatto: e per quanto il signor Palomar non abbia nulla contro la contemplazione in linea di principio, tuttavia nessuna di quelle tre condizioni si verifica per lui.   Infine non sono “le onde” che lui intende guardare, ma un’onda singola e basta :   volendo evitare le sensazioni vaghe, egli si prefigge per ogni suo atto un oggetto limitato e preciso .

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Non possiamo conoscere nulla di esterno    a noi scavalcando noi stessi, – egli pensa ora, – l’universo è lo specchio in cui possiamo contemplare solo ciò che abbiamo imparato a conoscere in noi .

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la vita di una persona     consiste in un insieme di avvenimenti di cui l'ultimo potrebbe anche cambiare il senso di tutto l'insieme, non perché conti di più dei precedenti ma perché inclusi in una vita gli avvenimenti si dispongono in un ordine che non è cronologico, ma risponde a un'architettura interna.

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Neanche il signor Palomar     sa staccarsi di lì. Resta a fissarlo. Non c’è tregua su cui si possa contare. Anche a riaccendere la televisione, non si fa che estendere la contemplazione dei massacri. La farfalla, fragile Euridice, sprofonda lentamente nel suo Ade. Ecco vola un moscerino, sta per posarsi sul vetro. E la lingua del geco si scaglia.  da la pancia del geco

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La luna di pomeriggio     nessuno la guarda, ed è quello il momento in cui avrebbe più bisogno del nostro interessamento, dato che la sua esistenza è ancora in forse
- È un'ombra biancastra che affiora dall'azzurro intenso del cielo, carico di luce solare; chi ci assicura che ce la farà anche stavolta a prendere forma e lucentezza?
È così fragile e pallida e sottile; solo da una parte comincia ad acquistare un contorno netto come un arco di falce, e il resto è ancora tutto imbevuto di celeste .
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Non c'è dubbio che quella che ora comincia è una splendida notte di plenilunio d'inverno. A questo punto, assicuratosi che la luna non ha più bisogno di lui, il signor Palomar torna a casa.  

da la luna di pomeriggio

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La conoscenza del prossimo    ha questo di speciale . passa necessariamente attraverso la conoscenza di se stesso .

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Un silenzio      in apparenza uguale a un altro silenzio, potrebbe esprimere cento intenzioni diverse; anche un fischio, d'altronde; parlarsi tacendo, o fischiando, è sempre possibile; il problema è capirsi. Oppure nessuno può capire nessuno: ogni merlo crede d'aver messo nel fischio un significato fondamentale per lui, ma che solo lui intende; l'altro gli ribatte qualcosa che non ha nessuna relazione con quello che lui ha detto; è un dialogo fra sordi, una conversazione senza capo né coda. Ma i dialoghi umani sono forse qualcosa di diverso?

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Non interpretare è impossibile, come è impossibile trattenersi dal pensare .

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Infatti anche il silenzio      può essere considerato un discorso, in quanto rifiuto dell'uso che altri fanno della parola; ma il senso di questo silenzio-discorso sta nelle sue interruzioni, cioè in ciò che di tanto in tanto si dice e che dà un senso a ciò che si tace.

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Quando c’è una bella notte stellata      il signor Palomar dice :  - Devo andare a guardare le stelle -. Dice proprio :   - Devo -   perchè odia gli sprechi e pensa che non sia giusto sprecare tutta quella quantità di stelle che gli viene messa a disposizione.    Dice 'Devo' anche perchè non ha molta pratica di come si guardano le stelle e questo semplice atto gli costa sempre un certo sforzo  .     

da la  contemplazione delle stelle

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Questo è il passo più difficile    per chi vuole imparare a essere morto: convincersi che la propria vita è un insieme chiuso, tutto al passato, a cui non si può più aggiungere nulla, né introdurre cambiamenti di prospettiva nel rapporto tra i vari elementi. Certo quelli che continuano a vivere possono, in base ai cambiamenti vissuti da loro, introdurre dei cambiamenti anche nella vita dei morti, dando forma a ciò che non l’aveva o che sembrava avere una forma diversa: riconoscendo per esempio un giusto ribelle in chi era stato vituperato per i suoi atti contro la legge, celebrando un poeta o un profeta in chi s’era sentito condannare alla nevrosi o al delirio. Ma sono cambiamenti che contano soprattutto per i vivi. Loro, i morti, è difficile che ne traggano profitto. Ognuno è fatto di ciò che ha vissuto e del modo in cui l’ha vissuto, e questo nessuno può toglierselo. Chi ha vissuto soffrendo, resta fatto della sua sofferenza; se pretendono di togliergliela, non è più lui. Per questo Palomar si prepara a diventare un morto scorbutico, che mal sopporta la condanna a restare cosi  com’è, ma non è disposto a rinunciare a nulla di sé neanche se gli pesa.

...

Il signor Palomar     decide che d’ora in poi farà come se fosse morto per vedere come va il mondo senza di lui. Da un po’ di tempo s’è accorto che tra lui e il mondo le cose non vanno più come prima; se prima gli pareva che s’aspettassero qualcosa l’uno dall’altro, lui e il mondo, adesso non ricorda più cosa ci fosse da aspettarsi, in male o in bene, né perché questa attesa lo tenesse in una perpetua agitazione ansiosa. Dunque ora il signor Palomar dovrebbe provare una sensazione di sollievo, non avendo più da chiedersi cosa il mondo gli prepara, e dovrebbe anche avvertire il sollievo del mondo, che non ha più da preoccuparsi di lui. Ma proprio l’attesa di assaporare questa calma basta a rendere ansioso il signor Palomar.
Insomma, essere morto è meno facile di quel che può sembrare.    Per prima cosa, non si deve confondere l’essere morto col non esserci, condizione che occupa anche la sterminata distesa di tempo precedente alla nascita, appare simmetrica a quella altrettanto sconfinata che segue alla morte. Infatti, prima di nascere facciamo parte delle infinite possibilità a cui toccherà o non toccherà di realizzarsi, mentre una volta morti, non possiamo realizzarci né nel passato (a cui apparteniamo ormai interamente ma su cui non possiamo più influire) né nel futuro (che seppur influenzato da noi, ci rimane vietato).
Il caso del Signor Palomar è in realtà più semplice, in quanto la sua capacità d’influire su qualcosa o qualcuno è sempre trascurabile; il mondo può benissimo fare a meno di lui, e lui può considerarsi morto in tutta tranquillità senza nemmeno cambiare le sue abitudini. Il problema è il cambiamento non in ciò che lui fa ma in ciò che lui è, e più precisamente in ciò che lui è in rapporto al mondo. Prima, per mondo lui intendeva il mondo più lui; adesso si tratta di lui più il mondo meno lui.

Il mondo        meno lui vorrà dire la fine dell’ansia? Un mondo in cui le cose avvengono indipendentemente dalla sua presenza e dalle sue reazioni, seguendo una loro legge o necessità o ragione che a lui non riguarda? Batte l’onda sullo scoglio e scava la roccia, un’altra onda sopravviene un’altra, un’altra ancora, che lui ci sia o non ci sia, tutto continua ad avvenire. Il sollievo d’essere morto dovrebbe essere questo: eliminata quella macchia d’inquietudine che è la nostra presenza, la sola cosa che conta è l’estendersi e il succedersi delle cose sotto il sole, nella loro serenità impassibile. Tutto è calma o tende alla calma, anche gli uragani, i terremoti, l’eruzione dei vulcani. Ma non era già questo il mondo quando lui era lì? Quando ogni tempesta portava in sé la pace del dopo, preparava il momento in cui tutte le ondate si saranno abbattute contro la riva, e il vento avrà esaurito la sua forza? Forse essere morto è passare nell’oceano delle onde che restano onde per sempre, dunque è inutile aspettare che il mare si calmi.
Lo sguardo dei morti è sempre un po’ deprecatorio. Luoghi, situazioni, occasioni sono grosso modo quelli che uno già sapeva, e riconoscerli dà sempre una certa soddisfazione, ma nello stesso tempo si notano tante variazioni piccole o grandi, le quali in sé e per sé si potrebbero anche accettare se corrispondessero a uno svolgimento logico coerente, ma invece risultano arbitrarie e irregolari e questo dà fastidio, soprattutto perché uno è sempre tentato d’intervenire ad apportare quella correzione che gli pare necessaria, e non può farlo perché è morto. Da ciò un atteggiamento di riluttanza, quasi d’impaccio, ma nello stesso tempo di sufficienza, come di colui che sa che ciò che conta è la propria esperienza passata e a tutto il resto non è il caso di dare troppo peso. Poi un sentimento dominante non tarda a presentarsi e a imporsi su ogni pensiero: ed è il sollievo di sapere che tutti i problemi sono problemi degli altri, fatti loro. Ai morti non dovrebbe importare più niente di niente perché non tocca più a loro pensarci e anche se ciò può sembrare immorale, è in questa irresponsabilità che i morti trovano la loro allegria. Più lo stato d’animo del signor Palomar s’avvicina a quello qui descritto, e più l’idea d’essere morto gli si presenta come naturale. Certo, non ha ancora trovato il sublime distacco che credeva fosse proprio dei morti, né una ragione che va al di là d’ogni spiegazione, né l’uscita dai propri limiti come da un tunnel che sbocca su altre dimensioni. A tratti s’illude d’essersi liberato almeno dall’impazienza che l’ha accompagnato tutta la vita al vedere gli altri sbagliare in tutte le cose che fanno e al pensare che anche lui al loro posto sbaglierebbe non meno di loro ma comunque se ne renderebbe conto. Non se n’è liberato affatto invece; e capisce che l’insofferenza per gli sbagli propri e altrui si perpetuerà insieme agli sbagli stessi che nessuna morte cancella. Dunque tanto vale abituarcisi: essere morto per Palomar significa abituarsi alla delusione di ritrovarsi uguale a se stesso in uno stato definitivo che non può più sperare di cambiare condizione.

Palomar non sottovaluta     i vantaggi che la condizione del vivo può avere su quella del morto, non nel senso del futuro, dove i rischi sono sempre molto forti e i benefici possono essere di corta durata, ma nel senso della possibilità di migliorare la forma del proprio passato. (A meno che uno sia già pienamente soddisfatto del proprio passato, caso troppo poco interessante perché valga la pena d’occuparsene.) La vita d’una persona consiste in un insieme d’avvenimenti di cui l’ultimo potrebbe anche cambiare il senso di tutto l’insieme, non perché conti di più dei precedenti ma perché una volta inclusi in una vita gli avvenimenti si dispongono in un ordine che non è cronologico ma risponde a un’architettura interna. Uno per esempio legge in età matura un libro importante per lui che gli fa dire: «Come potevo vivere senza averlo letto! E anche: «Che peccato che non l’ho letto da giovane!» Ebbene, queste affermazioni non hanno molto senso, soprattutto la seconda, perché dal momento che lui ha letto quel libro, la sua vita diventa la vita di uno che ha letto quel libro, e poco importa che l’abbia letto presto o tardi, perché anche la vita precedente alla lettura ora assume una forma segnata da quella lettura. Questo è il passo più difficile per chi vuole imparare a essere morto: convincersi che la propria vita è un insieme chiuso, tutto al passato, a cui non si può più aggiungere nulla, né introdurre cambiamenti di prospettiva nel rapporto tra i vari elementi. Certo quelli che continuano a vivere possono, in base ai cambiamenti vissuti da loro, introdurre dei cambiamenti anche nella vita dei morti, dando forma a ciò che non l’aveva o che sembrava avere una forma diversa: riconoscendo per esempio un giusto ribelle in chi era stato vituperato per i suoi atti contro la legge, celebrando un poeta o un profeta in chi s’era sentito condannare alla nevrosi o al delirio. Ma sono cambiamenti che contano soprattutto per i vivi. Loro, i morti, è difficile che ne traggano profitto. Ognuno è fatto di ciò che ha vissuto e del modo in cui l’ha vissuto, e questo nessuno può toglierselo. Chi ha vissuto soffrendo, resta fatto della sua sofferenza; se pretendono di togliergliela, non è più lui. Per questo Palomar si prepara a diventare un morto scorbutico, che mal sopporta la condanna a restare cosi  com’è, ma non è disposto a rinunciare a nulla di sé neanche se gli pesa.
Certo si può anche puntare sui dispositivi che assicurano la sopravvivenza almeno d’una parte di sé nella posterità, classificabili soprattutto in due categorie: il dispositivo biologico, che permette di tramandare alla discendenza quella parte di se stessi che si chiama patrimonio genetico, e il dispositivo storico, che permette di tramandare nella memoria e nel linguaggio di chi continua a vivere quel tanto o quel poco d’esperienza che anche l’uomo più sprovveduto raccoglie e accumula. Questi dispositivi possono anche essere visti come uno solo presupponendo il susseguirsi delle generazioni come le fasi della vita d’una singola persona che continua per secoli e millenni; ma così non si fa che problema, dalla propria morte individuale rinviare il all’estinzione del genere umano, per tardi che questa possa succedere. Palomar pensando alla propria morte pensa già a quella degli ultimi sopravvissuti della specie umana o dei suoi derivati o eredi: sul globo terrestre devastato e deserto sbarcano gli esploratori d’un altro pianeta, decifrano le tracce registrate nei geroglifici delle piramidi e nelle schede perforate dei calcolatori elettronici, la memoria del genere umano rinasce dalle sue ceneri e si dissemina per le zone abitate dell’universo. E così di rinvio in rinvio si arriva al momento in cui sarà il tempo a logorarsi e ad estinguersi in un cielo vuoto, quando l’ultimo supporto materiale della memoria del vivere sarà degradato in un vampa di calore, o avrà cristallizzato i suoi atomi nel gelo di un ordine immobile.

Se il tempo deve finire      lo si può descrivere, istante per istante – pensa Palomar – e ogni istante, a descriverlo, si dilata tanto che non se ne vede più la fine.

Decide che si metterà a descrivere ogni istante della sua vita, e finché non li avrà descritti tutti non penserà più di essere morto.

In quel momento muore.

i silenzi - le meditazioni di palomar - come imparare ad essere morto

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Palomar, non amandosi      ha sempre fatto in modo di non incontrarsi con se stesso faccia a faccia; è per questo che ha preferito rifugiarsi tra le galassie.

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solo dopo aver conosciuto       la superficie delle cose - conclude - ci si può spingere a cercare quel che c’è sotto.   Ma la superficie delle cose è inesauribile .

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Il peso morto d'una tradizione      di malcostume impedisce d'apprezzare nel loro giusto merito le intenzioni più illuminate, conclude amaramente Palomar.     

da seno nudo
1982

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Italo Giovanni Calvino Mameli - Santiago de Las Vegas PRESSO L'AVANA 15 ottobre 1923 – Siena 19 settembre 1985

è stato uno scrittore italiano. Intellettuale di grande impegno politico, civile e culturale, è stato forse il narratore italiano più importante del secondo novecento. Ne ha frequentato tutte le principali tendenze letterarie, dal Neorealismo al Postmoderno ma restando sempre ad una certa distanza da esse e svolgendo un proprio coerente percorso di ricerca. Di qui l'impressione contraddittoria che offrono la sua opera e la sua personalità: da un lato una grande varietà di atteggiamenti che riflette il vario succedersi delle poetiche e degli indirizzi culturali nel quarantennio fra il 1945 e il 1985; dall'altro, invece, una sostanziale unità determinata da un atteggiamento ispirato a un razionalismo più metodologico che ideologico, dal gusto dell'ironia, dall'interesse per le scienze e per i tentativi di spiegazione del mondo, nonché, sul piano stilistico da una scrittura sempre cristallina e a volte, si direbbe, classica . I numerosi campi d'interesse toccati dal suo percorso letterario, sono meditati e raccontati attraverso capolavori quali la trilogia de I nostri antenati, il Marcovaldo, Le cosmicomiche, Se una notte d'inverno un viaggiatore, uniti dal filo conduttore della riflessione sulla storia e la società contemporanea ...

DURANTE L'INFANZIA VISSE  dentro un grande bungalow del colorato giardino botanico tropicale diretto dai genitori. Il padre Giacomo Calvino, detto Mario, fu un agronomo italiano originario di Sanremo (in provincia di Imperia), mentre la madre, Eva Mameli, originaria di Sassari, laureata sia in matematica che in scienze naturali, lavorò come assistente di botanica all'Università di Pavia prima e come docente di botanica all'Università di Cagliari poi. Dopo che un uragano nel 1925 distrugge quasi la loro casa-bungalow, i coniugi Calvino (dopo una sosta di lavoro a Santiago de Cuba) decisero nel 1926 di ritornare in Italia.

Calvino mori' a 61 anni  per un ictus/emorragia cerebrale  il 19 settembre 1985 mentre era ricoverato all'ospedale senese Santa Maria della Scala.
it.wikipedia.org

Eva Mameli - Sassari 1886 - sanremo 1978 - madre dello scrittore Italo Calvino è stata una studiosa di botanica.
Mario Calvino a Cuba dirige la stazione sperimentale agronomica di Santiago de la Vegas ed è interessato alle ricerche di eva mameli che incontra in italia e le chiede di sposarlo e di trasferirsi a Cuba per assumere la direzione della stazione sperimentale di Botanica .
15 ottobre 1923 - nasce Italo Giovanni .
Nel 1925 tornano in Italia a sanremo dopo un uragano devastatante sull'isola caraibica.

pasquale porcu - lanuovasardegna.gelocal.it - 2013

 

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CUBA

Un mondo che pretenda di sviluppare unicamente una letteratura fantastica finisce per produrre una letteratura senza scintilla di fantasia, basata sulla ripetizione di formule, perché senza l’alimento della realtà la fantasia non vive.    E d’altra parte, un mondo che pretenda di avere soltanto una letteratura realista finisce per perdere il senso della realtà e la sua letteratura sembrerà realista e sarà astratta; perché senza il fermento dell’immaginazione non si arrivano a vedere le cose come sono. -ic

IC a ' casa de las américas '  -   siemprerevolucion.over-blog.it

 

 

 

Io cammino

per un bosco di larici
ed ogni mio passo è storia.
Io penso, io amo, io agisco
e questo è storia
forse non farò cose importanti
ma la storia è fatta
di piccoli gesti
e di tutte le cose
che farò prima di morire
saranno pezzetti di storia
e tutti i pensieri di adesso
faranno la storia di domani.

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Il massimo del tempo della mia vita l'ho dedicato ai libri degli altri, non ai miei. Ne sono contento, perché l’editoria è una cosa importante nell’Italia in cui viviamo e l’aver lavorato in un ambiente editoriale che è stato di modello per il resto dell’editoria italiana, non è cosa da poco.

-ic

 

 

Le cose che la letteratura può ricercare e insegnare sono poche ma insostituibili :     il modo di guardare il prossimo e se stessi, di porre in relazione fatti personali e fatti generali, di attribuire valore a piccole cose o a grandi, di considerare i propri limiti e vizi e gli altrui, di trovare le proporzioni della vita, e il posto dell’amore in essa, e la sua forza e il suo ritmo,   e il posto della morte,    il modo di pensarci o non pensarci; la letteratura può insegnare la durezza, la pietà, la tristezza, l’ironia, l’umorismo, e tante altre di queste cose necessarie e difficili .      Il resto lo si vada a imparare altrove, dalla scienza, dalla storia, dalla vita, come tutti noi   dobbiamo continuamente andare ad impararlo  .
-IC - dalla rivista il midollo del leone 19555  - una pietra sopra  1980

 

 

quello cui io tendo, l'unica cosa che vorrei insegnare è un modo di guardare, cioè di essere in mezzo al mondo. In fondo la letteratura non può insegnare altro.
-IC - lettera a François Wahl - 1960

 

 

 

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links

http://it.wikipedia.org/wiki/Le_cosmicomiche  

www.fantasticfiction.co.uk/c/italo-calvino

http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=307&biografia=Italo+Calvino

http://en.wikipedia.org/wiki/Italo_Calvino

 unilibro.it

 

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citta invisibili

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due sposi

IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO

I FIGLI DI BABBO NATALE

cosmicomiche

con le mucche  -  Marcovaldo

BARONE RAMPANTE

PALOMAR

IL CAVALIERE INESISTENTE

AMORI DIFFICILI

VISCONTE DIMEZZATO

L'ACQUA NEL CESTELLO

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