VINCENZO CARDARELLI

NAZARENO CALDARELLI

1 MAGGIO 1887 CORNETO TARQUINIA - VITERBO  -  18 GIUGNO 1959  roma

 

welcome cardarelli                              

 

alle origini della mia poco felice esistenza
c'è un ROMANZO
che non ho mai avuto voglia di raccontare



viviamo
d'un fremito d'aria 
d'un filo di luce 
dei più vaghi e fuggevoli
moti del tempo 
di albe furtive 
di amori nascenti
di sguardi inattesi 
e per esprimere
quel che sentiamo
c'è una parola sola
disperazione

 

La vita
io l'ho castigata
vivendola
Fin dove il cuore mi resse
arditamente mi spinsi.
Ora la mia giornata non è più
che uno sterile avvicendarsi
di rovinose abitudini
e vorrei evadere dal nero cerchio.
Quando all'alba mi riduco
un estro mi piglia, una smania
di non dormire.
E sogno partenze assurde,
liberazioni impossibili.
Oimè. Tutto il mio chiuso
e cocente rimorso
altro sfogo non ha
fuor che il sonno, se viene.
Invano, invano lotto
per possedere i giorni
che mi travolgono rumorosi.
Io annego nel tempo.
alla deriva  -  poesie 1936
https://youtu.be/zmY_hUyq7JY

legge vittorio gassman

 

 

bio

1887 Vincenzo Cardarelli nasce a Corneto Tarquinia (Viterbo) il primo maggio. Da giovane pratica diversi mestieri e studia in modo irregolare.
1905 E' l’anno della morte del padre. Abbandona il paese natale, al quale fu per sempre legato da un rapporto di odio e amore, a causa dell'infanzia infelice e solitaria che vi aveva trascorso, lui afflitto da una menomazione al braccio sinistro e affidato spesso alla carità e alla cura di estranei.
1906 Giunge a Roma, privo di una regolare istruzione, in cerca di fortuna; si accosta agli ambienti socialisti iniziando una attività giornalistica che lo porterà alla redazione dell’ "Avanti!". Inizia la relazione amorosa con la scrittri Aleramo, che si esaurirà nel 1912..... fallisce il progetto a lungo vagheggiato di dare vita a una nuova rivista. ....
Ma sarebbe difficile, e probabilmente arbitrario voler isolare nella sua produzione questo o quel titolo di una singola opera, perché Cardarelli è soprattutto il creatore di uno stile. A tale esigenza massima egli subordina, quando era in vita, ogni altra ambizione e ogni ricerca di un successo facile ed effimero.
1916 Esce "Prologhi", una raccolta di brevissime prose. Nel medesimo anno collabora alla "Voce" di Giuseppe De Robertis, maturando via via quelle convinzioni di un ritorno all’ordine e alla tradizione da cui nascerà nel 1919 l’esperienza decisiva della "Ronda". Della rivista Cardarelli fu fra i più strenui ispiratori, dirigendola fino al 1923, quando cessò definitivamente le pubblicazioni.
1929 Vince il Premio letterario Bagutta per il libro
"Il sole a picco"


"Io nacqui forestiero in Maremma, di padre marchigiano, e crebbi come un esiliato, assaporando con commozione tristezze e indefinibili nostalgie. Non mi ricordo la mia famiglia, né la casa dove son nato, esposta a mare, nel punto più alto del paese, buttata giù in una notte come dall'urto di un ciclone, quando io avevo due anni appena.
Sono venuto a conoscere mio padre un giorno che, nientedimeno, aveva sposato, e io soffiavo nel fornello a tutto andare, con una ventola nuova nuova. Ci fu un tempo ch'io vissi sotto la protezione d'un angelo custode e non ne ho altro ricordo se non che ero un ragazzo come tutti gli altri, curato, ben vestito e corretto con severità ed amore. Il destino, dopo avermi tolto la madre mi aveva regalato in compenso una matrigna, tutta d'oro, dal cuore alle mani. Me la aveva portata da lontano, parlava un dialetto settentrionale.
Tutta questa felicità durò poco, tre anni appena. Un dopo pranzo, che tornavo dalla scuola, passando davanti alla camera dove la mia cara madre giaceva malata e mentre son lì per entrare (ma già mi aveva sorpreso il lenzuolo che le avevano tirato fin sopra il capo) due braccia mi sollevarono e mi deposero nella camera accanto, dove una sorella della morta stava, in quel momento, levandosi di letto, dopo aver trascorso la notte vicino a lei. Erano quelle di mio padre.
Da allora la mia esistenza si complicò. I confini della mia famiglia si confusero e si dispersero. Non potendo badare a me, mio padre si vide costretto a collocarmi ora qui ora là, a dozzina. Conobbi altre case, dove fui accolto e trattato quasi in qualità di parente, attesa la mia facilità a familiarizzare. Il mondo mi allevò.  ...
Per farla corta, mio padre pretendeva che io diventassi nient'altro che un buon commerciante, alla sua maniera. Ecco la ragione vera per cui non volle che studiassi e fece, senz'accorgersene, la mia rovina. ...
A sedici anni, cioè un anno avanti che mio padre morisse, ero già lontano da lui e dal mio paese. ...
Per vivere, nei primi anni, dovetti fare i mestieri più vari: addetto a vigilare l'andamento delle sveglie in un deposito d'orologi; ammanuense nello studio d'un bisbetico avvocato piemontese e socialista; impiegato nella segreteria della Federazione metallurgica; contabile; infine giornalista.


1948 "Villa Tarantola" vince il Premio Strega per la prosa
1959 Muore il 18 giugno nell’Ospedale del Policlinico di Roma. Egli riposa ora nel cimitero di Tarquinia, di fronte alla Civita etrusca secondo la volontà espressa nel testamento.
La Civita etrusca, che il poeta ha così di frequente evocato nelle sue poesie e nelle sue prose, aveva ai suoi occhi più il valore di un simbolo morale che non di un tema autobiografico: era stato il faro che lo aveva guidato durante la sua avventurosa navigazione tra gli scogli dell’esistenza.

visse nella povertà e nella solitudine e morì a settantadue anni ancora più povero e più solo

https://youtu.be/gcVOVpHsSI0  

wikipedia.org - vagheggiando.blogspot.com

il callo del poeta
Nell' autunno del 1929 è già da parecchio che il pittore Amerigo Bartoli ascolta le lamentele di Vincenzo Cardarelli riguardo un doloroso callo. Il piede del poeta duole in modo infernale, ma poiché egli è timorosissimo dei medici e delle malattie rifiuta di andare a farselo togliere.
Cardarelli ha forato la relativa scarpa, sciupandola in modo definitivo, pur di poter camminare con sollievo.
Allo stesso tempo non rinuncia a mostrare agli altri l' escrescenza, notevole e anche piuttosto fastidiosa alla vista.
Perciò un giorno Bartoli annuncia di avergli preso appuntamento dal pedicure, poiché non sopporta di vederlo oltre in quelle condizioni indecenti. Il mattino seguente passa dall' amico, che per l' intero tragitto mugugna e impreca contro l' eventualità di contrarre, nell' operazione, il tetano o altri mali. In sala d' attesa siedono alcune passeggiatrici con le quali Cardarelli disquisisce di calli e piaghe: battendo il marciapiede per tante ore è normale che i piedi siano sottoposti a traumi. Quando viene il suo turno sembra debba sottoporsi a trapianto del cuore; le donne lo incoraggiano, il pittore lo sospinge e per paura che se la svigni assiste all' intervento. Tutto si svolge con semplicità, il problema è in breve eliminato. Un paio di sere dopo Bartoli va a teatro. Da lontano, nel foyer, individua Cardarelli. L' ha quasi raggiunto quando vede avvicinarglisi un rinomato seccatore.

Bartoli sente che questi osserva: «Vi trovo un po' pallido e stanco». E Cardarelli a denti stretti: «Avrò di certo preso il tetano! Colpa di Bartoli. Quando l' incontro me la pagherà davvero!».

Per qualche giorno così il pittore stabilisce di girare al largo, riflettendo idealmente su piaceri e croci dell' amicizia.
d'amico margherita - corriere.it - 2004


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Vincenzo Cardarelli a Roma mentre l’Urbe cambia
Venticinque inediti con prefazione di Giulio Andreotti.
impressioni di un giovane intellettuale appena giunto a Roma mentre un’altra sezione di testi ne rileva il carattere ombroso e polemico. ... foto rare dell’epoca della capitale.
inedito curato da  mimmo caporilli  -  
newtuscia.it - 2009

Partito dal mio paese a diciannove anni con sette lire in tasca senza sapere cosa sarei venuto a fare nella Città Eterna come sempre ci giungevo troppo tardi a festa finita.

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I temi della poesia
I temi ricorrenti nelle sue liriche sono il trascorrere delle stagioni, avvertito come simbolo dell’eterna mutevolezza delle cose, lo sfiorire dell'adolescenza e della bellezza, i vagheggiamenti dell’infanzia e dei paesaggi ad essa collegati. Sia nell’esplosione della vitalità estiva o sia nel malinconico disfarsi del paesaggio autunnale, il trascorrere delle ore del giorno e delle stagioni diventa simbolo delle vicissitudini della vita. Come scrive nella prima strofa di   Ottobre

vagheggiando.blogspot.com

OTTOBRE

Un tempo, era d’estate
era a quel fuoco   a quegli ardori
che si destava la mia fantasia.
Inclino adesso all’autunno
Dal colore che inebria
Amo la stanca stagione
Che ha già vendemmiato.
Niente più mi somiglia
Nulla più mi consola
Di quest’aria che odora
Di mosto e di vino
Di questo vecchio sole settembrino
Che splende nelle vigne saccheggiate.

Sole d'autunno inatteso

che splendi come in un di là

con tenera perdizione

e vagabonda felicità

tu ci trovi fiaccati

vòlti al peggio e la morte nell'anima.

Ecco perché ci piaci

vago sole superstite ?

che non sai dirci addio

tornando ogni mattina

come un nuovo miracolo

tanto più bello quanto più t'inoltri

e sei lì per spirare.

E di queste incredibili giornate

vai componendo la tua stagione

ch'è tutta una dolcissima agonia.

 

 

 

mattini d'ottobre
di giorno in giorno il sole
si fa sempre più pallido.
è un pallore che fiacca i nervi
e l'anima rattrista
un'agonia di luce che si spegne .
un singhiozzo
che muore lentamente.
In queste mattine d'ottobre
io vagolante in mezzo alla ressa
vo come un'ombra
che cader potrebbe senza rumore
assaporando
il sole d'autunno
ch'è il solicello della lunga morte.

 


Autunno Veneziano
L'alito freddo e umido m'assale
di Venezia autunnale .
Adesso che l'estate
sudaticcia e sciroccosa
d'incanto se n'è andata
una rigida luna settembrina
risplende, piena di funesti presagi
sulla città d'acque e di pietre
che rivela il suo volto di medusa
contagiosa e malefica.
Morto è il silenzio dei canali fetidi
sotto la luna acquosa
in ciascuno dei quali
par che dorma il cadavere d'Ofelia :
tombe sparse di fiori
marci e d'altre immondizie vegetali
dove passa sciacquando
il fantasma del gondoliere .
O notti veneziane
senza canto di galli
senza voci di fontane
tetre notti lagunari
cui nessun tenero bisbiglio anima
case torve, gelose
a picco sui canali
dormenti senza respiro
io v'ho sul cuore adesso più che mai .
Qui non i venti impetuosi e funebri
del settembre montanino
non odor di vendemmia, non lavacri
di piogge lacrimose
non fragore di foglie che cadono .
Un ciuffo d'erba che ingiallisce e muore
su un davanzale
è tutto l'autunno veneziano.
Così a Venezia le stagioni delirano .
Pei suoi campi di marmo e i suoi canali
non son che luci smarrite
luci che sognano la buona terra
odorosa e fruttifera .
Solo il naufragio invernale conviene
a questa città che non vive
che non fiorisce
se non quale una nave in fondo al mare .

 

 

Settembre a Venezia
Settembre a Venezia
Già di settembre imbrunano
A Venezia i crepuscoli precoci
E di gramaglie vestono le pietre.
Dardeggia il sole l’ultimo suo raggio
Sugli ori dei mosaici ed accende
Fuochi di paglia, effimera bellezza.
E cheta, dietro le Procuratìe
Sorge intanto la luna.
Luci festive ed argentate ridono
Van discorrendo trepide e lontane
Nell’aria fredda e bruna.
Io le guardo ammaliato.
Forse più tardi mi ricorderò
Di queste grandi sere
Che son leste a venire
E più belle, più vive le lor luci
Che ora un po’ mi disperano
- sempre da me così fuori e distanti !
torneranno a brillare
Nella mia fantasia.
E sarà vera e calma
Felicità la mia.

poesie

 

 

 

 

autunno

 già lo sentimmo venire
nel vento d'agosto
nelle piogge di settembre
torrenziali e piangenti
e un brivido percorse la terra
che ora, nuda e triste
accoglie un sole smarrito.
ora passa e declina
in quest'autunno che incede
con lentezza indicibile
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.

poesie 1949
youtu.be/hHqFtXXA0 - voce giorgio albertazzi

Autumn
Autumn. We felt its coming
in the wind of August
in the rains of September
torrential and weeping
and a shiver ran through the earth
which now, bare and sad
welcomes a bewildered sun.
Now passes and declines
in this Autumn progressing
with unspeakable slowness
the best time of our life
and lengthily bids us farewell.

the forgotten amongst the great - a.baruffi

 

 

 

FEBBRAIO

è sbarazzino.
Non ha i riposi del grande inverno
ha le punzecchiature
i dispetti
di primavera che nasce.
Dalla bora di febbraio
requie non aspettare.
Questo mese è un ragazzo
fastidioso, irritante
che mette a soqquadro la casa
rimuove il sangue, annuncia il folle marzo
periglioso e mutante .

 

 


E ora, in queste mattine
così stanche
che ho smesso di chiedere e di sperare
e tutto il giardino è per me
per il mio male sontuosamente,
penso agli amici che mai più rivedrò
alle cose care che sono state
alle amanti rifiutate
ai miei giorni di sole  ...
opere complete 1962

 

 

 

 

E' GIà IL PALLIDO AUTUNNO

TEMPO CHE MUTA

come varia il colore
delle stagioni
così gli umori e i pensieri degli uomini.
tutto nel mondo è mutevole tempo.
ed ecco è già pallido
sepolcrale autunno
quando pur ieri imperava
la rigogliosa quasi eterna estate.

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aprile

Quante parole stanche
mi vengono alla mente
in questo giorno piovoso d’aprile
Che l’aria è come nube che si spappola
o fior che si disfiora.
Dentro un velo di pioggia
tutto è vestito a nuovo.
L’umida e cara terra
mi punge e mi discioglie .
Se gli occhi tuoi
son paludosi e neri come l’inferno
il mio dolore è fresco
come un ruscello.

poesie 1942

https://youtu.be/8Pn6s-FfrAc  -  legge v. gassman

 

 

 

estiva
DISTESA estate stagione dei densi climi
dei grandi mattini dell'albe senza rumore
ci si risveglia come in un acquario
dei giorni identici - astrali -
stagione la meno dolente
d'oscuramenti e di crisi
felicità degli spazi
nessuna promessa terrena
può dare pace al mio cuore
quanto la certezza di sole
che dal tuo cielo trabocca
stagione estrema che cadi
prostrata in riposi enormi
dai oro ai più vasti sogni
stagione che porti la luce
a distendere il tempo
di là dai confini del giorno
e sembri mettere a volte
nell'ordine che procede
qualche cadenza dell'indugio eterno.

 poesie 1936

 

 

 

 

 Saluto di stagione
Benvenuta estate .
Alla tua decisa maturità
m'affido .
Mi poserò ai tuoi soli
ricambierò alla terra
in tanto sudore caldo
delle mie adempiute nutrizioni
i suoi veleni vitali .
Lascio la primavera
dietro di me
come un amore insano
d'adolescente .
Lascio i languori e le ottusità
i sonni impossibili
le faticose inerzie animali
il tempo neutro e vuoto
in cui l'uomo è stagione .
Io che non spunto a febbraio coi mandorli
non mi compiaccio all'arido sapore
di sasso che acuisce
il gusto dolce dell'acqua dei rivi
alle gocciole chete
di nuvola randagia
che vanno in punta di piedi
in compagnia dei pensieri
non colgo il biancospino
che amo i tempi fermi e le superfici chiare
e ad ogni transizione di meriggio
rotta l'astrale identità del mattino
avverto gli spazi irritarsi
e sento il limite e il male
che incrinano ogni cambio d'ora
saluto nel sol d'estate
la forza dei giorni più eguali .
Ai punti estremi, alle stagioni violente
come sotto il frantoio dei pericoli
dove ogni inquietudine si schianta
prendo le sole decisioni buone
la mia fuggiasca fecondità
ritrovo .

poesie -  1942

 

 

 

MARZO
Oggi la primavera
è un vino effervescente.
Spumeggia il primo verde
sui grandi olmi fioriti a ciuffi
dove il germe cade
come diffusa pioggia.
Fra i rami onusti e prodighi
un cardellino becca.
Verdi persiane squillano
su rosse facciate
che il chiaro allegro vento
di marzo pulisce.
Tutto è color di prato.
Anche l’edera è illusa
la borraccina è più verde
sui vecchi tronchi immemori
che non hanno stagione
lungo i ruderi ombrosi e macilenti
cui pur rinnova marzo il grave manto.
Scossa da un fiato immenso
la città vive un giorno
d’umori campestri.
Ebbra la primavera
corre nel sangue.
1942

 

 

Liguria
È la Liguria terra leggiadra.
Il sasso ardente, l'argilla pulita
s'avvivano di pampini al sole.
È gigante l'ulivo. A primavera
appar dovunque la mimosa effimera.
Ombra e sole s'alternano
per quelle fondi valli
che si celano al mare
per le vie lastricate
che vanno in su, fra campi di rose,
pozzi e terre spaccate,
costeggiando poderi e vigne chiuse.
In quell'arida terra il sole striscia
sulle pietre come un serpe.
Il mare in certi giorni
è un giardino fiorito.
Reca messaggi il vento.
Venere torna a nascere
ai soffi del maestrale.
O chiese di Liguria, come navi
disposte a esser varate !
O aperti ai venti e all'onde
liguri cimiteri!
Una rosea tristezza vi colora
quando di sera, simile ad un fiore
che marcisce, la grande luce
si va sfacendo e muore.

 

 

 

SERA DI LIGURIA
Lenta e rosata sale su dal mare
la sera di Liguria, perdizione
di cuori amanti e di cose lontane.
Indugiano le coppie nei giardini
s'accendon le finestre ad una ad una
come tanti teatri.
Sepolto nella bruma il mare odora.
Le chiese sulla riva paion navi
che stanno per salpare.

 


novembre

C'è un giorno

che tutte le formiche escono dal bosco
a fare il fascio per l'invernata.
Sopraggiungono, di lì a poco
le lunghe piogge autunnali
simili a un gran pianto dirotto, interminabile.
È un pianto che sgorga a fiumi, a torrenti
fa crescere il lago, solca le strade, rovina i ponti
e dilaga per i campi ostinatamente verdi.
I muri si ricoprono di vellutina.
Quando più nessuno se l'aspetta
un sole freddoloso, più prezioso dell'oro vecchio
torna poi, ogni mattina,
a trovare le foglie gialle d'acacia
che piovono ancora sui davanzali
le foglie secche dei platani
che il vento trascina lungo i viali.

opere -1996

 

 

 

INSONNIA

Talvolta a me par di vederlo il sonno,
mostro enorme, impalpabile,
starmi sopra, già pronto ad inghiottirmi,
e son sua preda in quello stesso istante.
Quale tremenda e sciagurata guerra
è quella ch'io più spesso
con lui vo conducendo.
Col sonno dico, e delirando fuggo
l'ore che gli appartengono.
Larva inquieta, dormente che cammina
e va sognando e stima d'esser desto.

il sole a picco 1929

 

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cronologia.leonardo.it/storia/biografie/cardarel

grazie alla scheda compilata dagli allievi

istituto riccati - treviso

 

 

 

poesia potrebbe anche definirsi la fiducia di parlare a sé stessi

 

visse nella povertà e nella solitudine e morì a 72 anni ancora più povero e più solo

 


Il mio cuore

non riesce a sostenere la semplice solennità che è in tutte le ore della vita .     Sono turbato dalla sensazione del tempo come da un pericolo assiduo .      Il desiderio, spesso spropositato di me, di abbandonarmi, è vinto da una vaga inquietudine senza causa che urge e mi consiglia di levarmi su, presto, come se ad ogni istante si potesse correre il rischio di perdere tutto il tempo in una volta, tutte le probabilità e le occasioni. Il tempo, a dire il vero, è uno spettro di cui è impossibile regolare le apparizioni .    E forse mentre noi ce ne andiamo, ilari e distratti, per la nostra strada, egli ci cammina dietro, e allorché abbrividendo, ci rivolteremo per guardarlo, ci avrà già passati .
idea della morte !  - viaggi nel tempo -  1920

 

 

 

 

 VINCENZO CARDARELLI  - Nazareno Caldarelli     Corneto Tarquinia Viterbo 1887 Roma 1959 poeta e letterato

Inizia la sua carriera letteraria a Roma come giornalista politico. Ben presto entra dell’ambiente vociano, collaborando con "Il Marzocco" e "Lirica", dove nel 1913 pubblica le prime poesie. Nel 1919 fonda, insieme  a Riccardo Bacchelli, Antonio Baldini, Bruno Barilli, Emilio Cecchi, Lorenzo Montano e Aurelio Saffi, la  rivista "La nobile e severa mente classica" (G. Barberi Squarotti). Il suo modello è, come per gli  altri rondisti, il Leopardi delle Operette morali. Punti di tangenza si possono trovare con le ricerche  del "ritorno all’ordine" in pittura e letteratura.

DAL 1949 AL 1959 FU DIRETTORE DE La Fiera letteraria -  Settimanale delle lettere delle arti e delle scienze CHE SI PUBBLICAVA  la domenica.
Tra le opere principali ricordiamo Il sole a picco, 1928; Prologhi - Viaggi - Favole, 1929, la cui copertina è disegnata da Scipione..Nel 1931 Giansiro Ferrata scrive della sua opera sul primo numero di "Fronte"  la rivista di Mazzacurati e Scipione , che, dimostrando un vivo interesse per la sua attività letteraria lo  invitano a collaborare al secondo numero della rivista.  Cardarelli compare nel ritratto di gruppo Gli amici al caffè, e in un altro dipinto di Amerigo Bartoli. Nella caricatura degli Amici al caffè disegnata da Scipione il letterato è il secondo da sinistra e spara in 
aria per chiamare il cameriere.

scuolaromana.it

 

 

 

      Premio Internazionale Tarquinia Vincenzo Cardarelli      

 

Cardarelli, che ne pensa dei premi letterari?
Non mi faccia domande cretine.
Dunque, è contrario ai premi letterari?
Se si tratta di un regalo, no. Se si tratta di un giudizio, sì. Io trovo indecente che degli scrittori si riuniscano per giudicare l’opera di un altro scrittore. Comunque … se proprio volete premiare gli scrittori migliori, allora ogni tanto dovete bastonarne qualcuno dei peggiori.
Ma i grandi premi? Il Premio Nobel, per esempio?
I grandi premi non vengono mai dati allo scrittore, ma ai suoi lettori. Poveracci, se li meritano.
oltrepensiero.mikronetservice.com

 


Lettere ad una adolescente
Cara Signorina

se lei sapesse come io la ricordo sempre colla stessa meraviglia con cui l’ho vista vivere per più d’un mese sulla spiaggia di San Remo e quanti freschi ricordi risvegliano in me le sue lettere, della bella stagione, del luogo attraente, di lei stessa, non avrebbe aspettato tanto a ricordarsi di questo suo fedele, per quanto discreto ed enigmatico, amico. Non è vero che io non mi sia fatto vivo con Lei! Prima di tutto il fatto di averle mandato tante Ronde le dimostra che io mi ricordo di lei e so dargliene prove positive ed è una bella conquista! In secondo luogo credo di averle scritto qualche tempo fa una lettera a San Remo, chiedendole di farmi sapere subito come stava perché avevo fatto un brutto sogno, conseguenza bizzarra di certe ambizioni che io ebbi allorché i giornali riportarono, se se ne ricorda, il fatto del disastro ferroviario di Mestre. Lei capisce, si era quasi ai primi d’ottobre, epoca in cui lei avrebbe dovuto tornare a san Remo. Da quel giorno io non seppi più nulla di lei. Sebbene io non creda agli accidenti ma al fato, e nel caso suo il fato mi sembra felicissimo, v’era da che giustificare un pensiero vaghissimo. Questa lettera di cui le parlo era scritta a macchina. A quanto pare non l’ha ricevuta come non deve aver ricevuto un giornale che le spedii presso a poco in quello stesso tempo con una mia critica teatrale... Ma basta di ciò. Ora ella mia ha scritto e non domando altro. Solo si ricordi che ho una memoria tenacissima e che non dimentico facilmente. Così ogni volta che ne ha voglia, mi scriva, che non c’è niente di male. Anzi ella procurerà un’ora o un giorno di letizia a un uomo che, come lei sa, non ride molto spesso. Vengo al Gozzano di cui ella mi richiede un ipotetico “Dante”. A forza di pensarci su mi sembra di aver capito doversi trattare di un poemetto su l’Ulisse dantesco chiamato dal Gozzano Il re di tempeste. Lei sa chi era Ulisse, non è vero? Se non ha letto L’Odissea cerchi di leggerla prima che può nella traduzione del Pindemonte. Il Gozzano finge di prendere una brava moglie casalinga e villereccia, alla quale vuole fare delle letture. Ma giunti a quel canto della Divina Commedia dove compare Ulisse sotto forma di una lingua di fuoco, la indotta moglie domanda chi era costui. E allora il saggio marito glielo spiega spiritosamente, a modo suo: il re di Tempeste era un tale – che diede col vivere esempio – un ben deplorevole esempio –d’infedeltà coniugale. Eccetera. Non me ne ricordo più. Questo poemetto giovanile, arguto e piacevole a leggersi, e anche a recitarsi, non fu pubblicato sopra un giornale di Torino ma di Ostiglia, e si chiamava Il viandante. Ricordo di averlo avuto tra le mani ma l’ho perso e non saprei in che modo recuperarlo. Il re di tempeste non fa parte ch’io sappia di nessuna raccolta di poesie gozzaniane. È probabile che io sbagli in questi particolari che le ho dato e che Dante né la Divina Commedia c’entrino per niente. In ogni caso è stata lei a mettermi Dante in testa per quanto io supponga per quanto lei mi chiede, non può riferirsi ad altro che a questo poemetto. Non è una faccenda facile procurarsi quella copia del Viandante, defunto da molti anni. Tenterò di farla richiedere al direttore del giornale stesso, Tomaso Monicelli che io non conosco personalmente, ma che in tutti i casi è qui a Roma, direttore dell’Idea Nazionale. Se lei ritenesse efficace una letterina a questa persona, di cui certamente suo fratello non ignora il nome, e forse neppure l’opera, lo faccia colla sua graziosa franchezza e chissà che non sia il modo più spiccio. Io intanto me ne occuperò, stia sicura, e non sciupi la sua gratitudine per così poco.
Ora vorrei rispondere ad una domanda che lei mi fece nella sua ultima lettera. Se cioè quest’inverno io vengo a San Remo. Ecco le dirò che in tutti i modi non potrei venire in codesto bellissimo paese per più di due o tre settimane al massimo, perché sono impegnato alla trasformazione d’un giornale che dovrà avvenire verso la fine di gennaio e nel quale io riprenderò a fare il critico drammatico. Mestiere al quale non tengo molto in verità ma che faccio volentieri di quando in quando perché in fine dei conti è uno dei mestieri più divertenti. Prima di tornare a legarmi a questa carretta vorrei conoscere per altri quindici giorni che cosa sia l’ozio in un paese di mare. E così vorrei venire a San Remo. Ma temo che le camere d’albergo saranno già tutte prenotate, a quanto mi si disse, e forse a quest’ora la vita invernale è già cominciata. Potrei osare di chiedere a lei, visto che sono ormai in questo discorso, d’informarsi a mezzo di suo fratello, se per i primi di gennaio sarebbe possibile costì trovare una camera? Mi scusi se le do questo disturbo. Conosco la mia pigrizia e so che prima di scrivere io personalmente a qualche locanda preferirei, con tutta la voglia che ho di sentire l’odore del mare, non farne nulla, o correre l’avventura di venire lassù senza trovare un ospizio. Ad ogni modo non si dia pensiero perché c’è tempo. Mi dica solo quanto ancora si tratterrà a San Remo acciocché io possa accompagnarla con i miei pensieri. In questa stagione lei sarà tutt’altra da quella che era quest’estate. Immagino che avrà da studiare. Ma alla sua età tutti i tempi sono felici. E poi mi pare di capire che stanno organizzando qualche recita. Vorrei sentirla! Badi di non prendere delle papere e impari bene a memoria la parte, e non alzi troppo la voce. Quando le viene questo istinto lo soffochi più che può e non abbia timore di recitare a voce spenta o normale anche nelle scene più violente e vivaci. Ma soprattutto cambi spesso il tono, che non sia uniforme nemmeno un istante, ma sempre vario e ardito nei passaggi, perché questa è l’arte delle vere attrici. Lei ha una voce straordinaria. Non voglio metterle in testa di darsi all’arte drammatica. Però credo riuscirebbe un’attrice ideale. E anche per passatempo, vale la pensa di recitar bene. Non si muova troppo e misuri i suoi gesti, come fa per l’appunto quando si trova davanti ad una persona di riguardo. Questa persona sarebbe il pubblico. Ha mai letto la locandiera? Ecco una commedia che io vorrei farle recitare.
E ora che le ho dato tutti questi precetti, facendo tutto il possibile per sembrarle un pedagogo esigente e alquanto sciocco, non mi mandi al diavolo. Se si ricorda lei mi disse una volta che le piacerebbe di avere un precettore che sapesse anche tediarla con la sua pedanteria. Io non ho questa vocazione. Ma per amore del suo divertimento sarei anche pronto a sforzarmi.

Ora la lascio perché il foglio è pieno e sono le tre di notte. Buon sonno cara signorina e scusi se non sono riuscito a divagarla come speravo.
Suo Cardarelli

FISCHER’S PARK HOTEL - Roma, 16 Dicembre 1920
lettere ad una adolescente - v.cardarelli - 1.000 copie numerate il 7 Aprile del 1983
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San Remo, lunedì
Cara Mary
mentre il dolore la colpisce così fieramente, io che sono stato spesso con lei, in momenti meno severi, così parco di parole, vorrei tenermi in disparte e tacere per non sembrare di voler opporre con il mio conforto un ostacolo importante al torrente delle sue lacrime. Ma il mio silenzio e la mia assenza in una circostanza così grave potrebbero essere forse interpretati come segno di poca amicizia e di tepida partecipazione alla sua sciagura, e così, non avendo il coraggio di venirla a visitare, mi decido a scriverle, acciocché, se questo potrà essere di qualche consolazione, mi senta vicino collo spirito e col cuore. Altro non riesco a dirle, se non che voglia essere interprete presso tutta la sua famiglia degli stessi sensi di solidale cordoglio che ho cercato di esprimere a lei. Da ora in poi la vita le apparirà sotto tutt’altra luce e quanto questo giorno sia luttuoso e grave lo conoscerà soltanto più tardi. Questo dico perché non si abbandoni smoderatamente alla disperazione, come se le lacrime che oggi versa dovessero essere le ultime e fossero sfogo sufficiente a un dolore che soltanto gli anni riusciranno ad attenuare, non a distruggere. Conservi dunque anche un po’ del suo pianto pei giorni futuri, nessuno dei quali purtroppo (e ciò è nell’ordine delle cose e non contrasta colla bontà e la bellezza della vita) sarà più per lei così interamente felice come quelli che prima di questa fatale perdita ha conosciuti.
Sia forte, cara piccola Mary e mi creda più che mai il suo affezionatissimo amico
V. Cardarelli

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Roma 19.IV.1922

Alla signorina Mary Ottolenghi o chi per essa.
Trovandomi a cena da Barilli mando a tutti i più vivi ringraziamenti e un monte d’auguri sebbene in ritardo. Ho visto la professoressa d’italiano! Anzi mi è corsa appresso su per la scala di Trinità dei Monti mentre andavo alla Ronda per domandarmi il perché a San Remo non la salutassi. L’ho condotta alla Ronda dove è rimasta alcuni minuti imbarazzatissima.
Io sempre feroce, non c’è bisogno di dirlo. L’ho incaricata di fare tanti saluti a lei e a quelli della sua famiglia ma che non farà, ne sono certo. Le domandi, facendo finta di nulla, se mi ha visto. Qui non si vedono che studenti e studentesse in maglietta. È una stagione goliardica, sportiva e piovosa. Speriamo che tutto ciò finirà presto. Addio di nuovo.
Vede che
scrivo in fretta ed è venuta una lettera piena di sgorbi. La metta nel suo museo di famiglia, nella camera o stanziolina delle scarpe vecchie.
Suo inalterabile e affezionatissimo
V. Cardarelli

da tellusfolio.it - 2014

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IL CAPPOTTO

vincenzo cardarelli  soffriva il freddo  anche in estate  e vagava tra i bar di via vittorio veneto a roma indossando  il cappotto    - alcuni dicono tre sovrapposti  anche in piena estate  -       per questo motivo venne definito da ennio flaiano    'il piu grande poeta italiano morente'   -

foto risale all'estate   -  prof umberto broccoli rai1

via veneto ... c´era Vincenzo Cardarelli ... che veniva bersagliato dagli sberleffi :  in piena estate si aggirava infatti per i caffè della via con due cappotti addosso .    Soffriva il freddo – diceva – e noi lo definivamo crudelmente   ' il più grande poeta italiano morente '  .
dino risi - romacinemafest.it

...

***

 


L'uomo disprezza per istinto tutto ciò che può ottenere troppo facilmente
parole all'orecchio 1929

 

 

ballata

Ecco la casa ov’io vidi la luce
e la chiesa lì accanto,
dove fui battezzato.
Consolanti evidenze!
Qui antiche donne vivono

mai sazie di ricordare.
E narrano una storia
ch’io so a memoria e non vorrei sapere.
Narrano la mia storia famigliare.
Dicono che una notte
col cuore fasciato
di crudeltà e d’ira fredda
un uomo fece guasto
senza pietà nei suoi affetti più sacri
disperse una famiglia appena in fiore.
E la casa natale era al mattino
tranquilla e disertata
come se visitata
l’avessero le streghe.
Il tempo come un ciclone
spazzò da questi luoghi
le care immagini.
Di ciò che fu non rimane
che un tacito agitarsi
di memorie e di ombre.
Ma quelle voci ch’io dico
sono implacabili e vive.
Lamentose quale un funebre canto,
alla pietà l’invettiva alternando,
mi rammentano come, ancora in fasce
m’abbia poco la sorte vezzeggiato.

 

 

 

gabbiani

NON SO DOVE I GABBIANI
ABBIANO IL NIDO
OVE TROVINO PACE .
IO SON COME LORO
IN PERPETUO VOLO .
LA VITA LA SFIORO COM'ESSI L'ACQUA
AD ACCIUFFARE IL CIBO .
E COME FORSE ANCH'ESSI AMO LA QUIETE
LA GRAN QUIETE MARINA
MA IL MIO DESTINO È VIVERE
BALENANDO IN BURRASCA .
1932

i gabbiani di eugenio montale

 

 

adolescente

su te, vergine adolescente
sta come un'ombra sacra.
nulla è più misterioso
e adorabile e proprio
della tua carne spogliata.
ma ti recludi nell'attenta veste
e abiti lontano
con la tua grazia
dove non sai chi ti raggiungerà.
certo non io. se ti veggo passare
a tanta regale distanza
con la chioma sciolta
e tutta la persona astata
la vertigine mi si porta via.
sei l'imporosa e liscia creatura
cui preme nel suo respiro
l'oscuro gaudio della carne che appena
sopporta la sua pienezza.
nel sangue, che ha diffusioni
di fiamma sulla tua faccia
il cosmo fa le sue risa
come nell'occhio nero della rondine.
la tua pupilla è bruciata
dal sole che dentro vi sta.
la tua bocca è serrata.
non sanno le mani tue bianche
il sudore umiliante dei contatti.
e penso come il tuo corpo
difficoltoso e vago
fa disperare l'amore
nel cuor dell'uomo!
pure qualcuno ti disfiorerà
bocca di sorgiva.
qualcuno che non lo saprà,
un pescatore di spugne
avrà questa perla rara.

gli sarà grazia e fortuna
il non averti cercata
e non sapere chi sei
e non poterti godere
con la sottile coscienza
che offende il geloso iddio.
oh sì, l'animale sarà
abbastanza ignaro
per non morire prima di toccarti.
e tutto è così.
tu anche non sai chi sei.
e prendere ti lascerai,
ma per vedere come il gioco è fatto
per ridere un poco insieme.
come fiamma si perde nella luce
al tocco della realtà
i misteri che tu prometti
si disciolgono in nulla.
inconsumata passerà
tanta gioia !
tu ti darai, tu ti perderai
per il capriccio che non indovina
mai, col primo che ti piacerà.
ama il tempo lo scherzo
che lo seconda,
non il cauto volere che indugia.
così la fanciullezza
fa ruzzolare il mondo
e il saggio non è che un fanciullo
che si duole di essere cresciuto.

 

 

rimorso

Ti porto in me come il mare
un tesoro affondato.
Sei il lievito,il segreto
d’ogni mio male
o amore a cui non credo.
Amore che mi segui
oltre ogni limite,ovunque
come un cane fedele
segue un padrone ingrato.
Ti fuggo invano.
Poi che meno ti penso più mi opprimi
rimorso, celato affanno.
Tu certo un giorno mi raggiungerai
nella morte.
Là, riposato e cheto, il tuo buon Genio
mi assisterà.
Voglio dormire all’ombra
del suo tremendo sorriso.

 

 

 

idillio
Per una stradetta ombreggiata
fra due muri di pietre rugginose
da cui spuntavano pampani
soleggiati
vidi un giorno, in Liguria
- oh incontro inatteso! -
una giovane contadina
ritta sul limite del suo vigneto.
Era la via romita
l'ora estuosa.
Mi guardò, mi sorrise
la villanella.
Ed io le dissi, accostandomi
parole che udivo salire
dal sangue
da tutto il mio essere, in lode
di sua bellezza.
Sotto il rossore del volto imperlato
dall'interrotta fatica
la bocca sua rideva luminosa.
Era scalza. Una scaglia
d'argilla dorata
rivestiva i suoi piedi usi ai diurni
lavacri della fonte.
Gli occhi, infocati e lustri
di gioventù brillavano
solare e profonda.
E dietro a lei, così terrosa e splendida
l'ombre cognite e fide
della domestica vite
parevan vigilarla.
Tutto era pace intorno
e silenzio agreste.

 

 

 

sopra una tomba

Tutto un inverno ho sofferto
pensando alla fradicia zolla
dove tu riposavi
in provvisoria fossa
ch’era il tuo purgatorio.
Piovose notti insonni
conobbero il mio rimorso.
E a te volavo, o madre
cui non piacque la terra
per l’ultima dimora
la terra faticosa
la terra che patisti oltre la morte.
Ora esaudita, emersa
dal confuso elemento
tu sei come redenta.
Non più l’informe grembo
travaglierà le tue spoglie.
Tu che vivente avesti incerto asilo
sicuro loco avrai or che sei morta
fin che l’umana pietà lo conceda.

 

 

 

 

attesa

Oggi che t'aspettavo
non sei venuta
e la tua assenza so quel che mi dice
la tua assenza che tumultuava
nel vuoto che hai lasciato
come una stella
dice che non vuoi amarmi
quale un estivo temporale

s'annuncia e poi s'allontana
così ti sei negata alla mia sete
l'amore sul nascere
ha di questi improvvisi pentimenti
silenziosamente ci siamo intesi
amore, amore
come sempre
vorrei coprirti di fiori
e d'insulti.

poesie - 1948

 

 

 

 

 

passato

i ricordi, queste ombre troppo lunghe
del nostro breve corpo
questo strascico di morte
che noi lasciamo vivendo
i lugubri e durevoli ricordi
eccoli già apparire:
melanconici e muti
fantasmi agitati da un vento funebre.
e tu non sei più che un ricordo.
sei trapassata nella mia memoria.
ora sì, posso dire
che m'appartieni
e qualche cosa fra di noi è accaduto
irrevocabilmente.
tutto finì, così rapito !
precipitoso e lieve
il tempo ci raggiunse.
di fuggevoli istanti ordì una storia
ben chiusa e triste.
dovevamo saperlo che l'amore
brucia la vita e fa volare il tempo.

opere complete 1962 e 1981
https://youtu.be/bP4dZjxrLTA  - legge nando gazzolo

 

 

 

distacco
Io ti sento tacere da lontano.
Odo nel mio silenzio il tuo silenzio.
Di giorno in giorno assisto
all’opera che il tempo,
complice mio solerte, va compiendo.
E già quello che ieri era presente
divien passato e quel che ci pareva
incredibile accade.
Io e te ci separiamo.
Tu che fosti per me più che una sposa!
Tu che volevi entrare
nella mia vita, impavida,
come in inferno un angelo
e ne fosti scacciata.
Ora che t’ho lasciata,
la vita mi rimane
quale un’indegna, un’inutile soma,
da non poterne avere più alcun bene.
poesie - 1942

 

 

 

 abbandono

volata sei, fuggita
come una colomba
e ti sei persa, là, verso oriente.
Ma sono rimasti i luoghi che ti videro
e l'ore dei nostri incontri.
Ore deserte,
luoghi per me divenuti un sepolcro
a cui faccio la guardia.

 

 

amicizia

Noi non ci conosciamo.
Penso ai giorni che,
perduti nel tempo, c’incontrammo
alla nostra incresciosa intimità.
ci siamo sempre lasciati
senza salutarci
con pentimenti e scuse
da lontano.
Ci siam riaspettati al passo
bestie caute
cacciatori affinati
a sostenere faticosamente
la nostra parte di estranei.
Ritrosie disperanti
pause vertiginose e insormontabili
dicevan, nelle nostre confidenze
il contatto evitato e il vano incanto.
Qualcosa ci è sempre rimasto
amaro vanto
di non ceduto ai nostri abbandoni
qualcosa ci è sempre mancato.

tutte le poesie

 

 

 

maternità
Misera donna dal turgido seno
tu non sei ricca d’altro
che del tuo latte.
E quanto ne hai prodigato
nei giorni dell’estate ormai defunta
al tuo florido bimbo.
Con inesausta vena lo nutrivi
lieta di rifiorire
nel suo fiorire.
A ogni lieve frignare il petto usciva
libero e nudo con casto impudore.
Tu che non bella sei ti sentivi
sana e piacente nel gaio mistero
il bimbo si formava
madre e figliolo crescevate insieme.
Così è passata per te un' estate.
Ora il vento d’autunno ti mortifica.
Dolente è il tuo aspetto
madre indefessa
genitrice indigente
finora così smemorata.
Che passa nel tuo pensiero?
E’ la malinconia dell’opera compiuta
o il nero corteo
di miserie e di mali
che s’avvicina, a far mesto il tuo viso?

 

 

 

 

ritratto di amerigo bartoli 1934 ca

 

 

 

 

 

 

 

in suo omaggio  una scultura 'gabbiani' e il suo nome per una piazza a sirolo
Cardarelli si è sempre sentito marchigiano, tanto da esprimere il suo orgoglio scrivendo: “d’essere marchigiani bisogna meritarselo“. E Sirolo gli rende, quale illustre marchigiano, doveroso omaggio.
il testo 'gabbiani' venne scritto a sirolo nel 1919.

vivereancona.it -  corrieredelconero.it - giornata FAI 24.3.2019

Sirolo - piazzale Marino - inaugurati il largo Cardarelli e la scultura Gabbiani – realizzata e donata dallo scultore marchigiano Luigi Rubini – dedicati al celebre poeta Vincenzo Cardarelli, laziale di nascita ma marchigiano d’origine.      Cardarelli, in realtà, era un 'Romagnoli' e proprio durante una visita nella sua terra d’origine scrisse a Sirolo la poesia “Gabbiani”, poi pubblicata nel 1942, considerata un autentico capolavoro dello scorso novecento.      Cardarelli si è sempre sentito “marchigiano” tanto da esprimere il suo orgoglio, scrivendo che    “d’essere marchigiani bisogna meritarselo”.     Sirolo, pertanto, gli ha reso doveroso omaggio, quale illustre   “marchigiano”.
anconanews.it - 2019

 

 

 

 

Trasformazioni
L’animale ferito è una preda difficile da riavere .   Così, a poco a poco, ho finito anch’io per sentirmi nel mondo :    un essere malizioso sempre in pericolo e in sospensione .    I miei gusti sono inquieti .    Il mio modo di vedere e di partecipare è supremamente evasivo .     tutti i miei istinti più forti, i miei esperimenti più sani, non sono che fughe verso altre arie e scorci di prospettive  .
L’amore non ammetto ormai più che mi si dichiari .    Direi quasi che non le pèrdono .    Mi piace la simpatia che arrossisce di sé e scappa borbottando .    Gradisco le attestazioni presupposte e dimenticate .     Non tollero che rare apparenze .    Giudico impresentabili tutte le commozioni .
Perché io ho ecceduto nella carne fino all’ironia .    Ho bevuto come se non mi dovessi più risvegliare .   

Perché io so cosa vuol dire fare esperienza d’una tentazione e liberarsi dal male a prezzo di tante cadute  .
1981 - poetarumsilva.wordpress.com

 

 

 

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la speranza è nell'opera 

 io sono un cinico a cui rimane per la sua fede questo al di là

io sono un cinico che ha fede in quel che fa

da poesie - mondadori

 

Andiamo verso la catastrofe senza parole

Già le rivoluzioni di domani si faranno in marsina e con tutte le comodità

I Re avranno da temere soprattutto dai loro segretari

aprile 1919

academia.edu - fbac.ccom

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1959 - 2009     -    50° anniversario

 

 

 

 

 

links

https://youtu.be/pyOub5Swgcs  - PREMIO STREGA 1948

https://youtu.be/mzY6RAd7cnc  -  rai 5  - l'attimo fuggente

https://m.facebook.com/certamecardarellianotarquinia

www.raistoria.rai.it/articoli/la-poesia-di-cardarelli

www.club.it/autori/grandi/vincenzo.cardarelli
http://it.wikipedia.org/wiki/Vincenzo_Cardarelli 

  http://biografieonline.it/biografia-vincenzo-cardarelli

www.libriantichionline.com/novecento/vincenzo_cardarelli_poesie

www.girodivite.it/antenati/xx2sec/_cardare
 

 

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