george orwell

 

la fattoria degli animali

CAPITOLO      I  a   VI

 

 

 

Freedom
is the right to
tell people what they do not want to hear
libertà è il diritto di dire alla gente cose che non vogliono sentire - prefazione

 

 

Never listen when they tell you that Man and the animals have a common interest

that the prosperity of the one is the prosperity of the others.

It is all lies. Man serves the interests of no creature except himself.

non date ascolto quando vi si dice che l'uomo e gli animali hanno un comune interesse, che la prosperità dell'uno è la prosperità degli altri.

è tutta menzogna. l'uomo non serve gli interessi di nessuna creatura all'infuori dei suoi. - cap I

 

 

Quattro gambe,  buono  -  Due gambe,  cattivo

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2020 - 75 ANNI  DI COPERTINE_COVERS DIVERSE
www.penguin.co.uk/george-orwell-75-covers-design-history
https://time.com/george-orwell-animal-farm-still-relevant

 

 


Capitolo I
Il signor Jones, della Fattoria Padronale, serrò a chiave il pollaio per la notte, ma, ubriaco com'era, scordò di chiudere le finestrelle. Nel cerchio di luce della sua lanterna che danzava da una parte all'altra attraversò barcollando il cortile, diede un calcio alla porta retrostante la casa, da un bariletto nel retrocucina spillò un ultimo bicchiere di birra, poi si avviò su, verso il letto, dove la signora Jones già stava russando.

Non appena la luce nella stanza da letto si spense, tutta la fattoria fu un brusio, un'agitazione, uno sbatter d'ali. Durante il giorno era corsa voce che il Vecchio Maggiore, il verro Biancocostato premiato a tutte le esposizioni, aveva fatto la notte precedente un sogno strano che desiderava riferire agli altri animali. Era stato convenuto che si sarebbero tutti riuniti nel grande granaio, non appena il signor Jones se ne fosse andato sicuramente a dormire. Il Vecchio Maggiore (così era chiamato, bené fosse stato esposto con il nome di Orgoglio di Willingdon) godeva di così alta considerazione nella fattoria che ognuno era pronto a perdere un'ora di sonno per sentire quello che egli aveva da dire. A un'estremità dell'ampio granaio, su una specie di piattaforma rialzata, il Vecchio Maggiore già stava affondando sul suo letto di paglia, sotto una lanterna appesa a una trave. Aveva dodici anni e cominciava a divenire corpulento, ma era pur sempre un maiale dall'aspetto maestoso, spirante saggezza e benevolenza, bené mai fosse stato castrato. In breve cominciarono a giungere gli altri animali e ognuno si accomodava a seconda della propria natura. Vennero primi i tre cani, Lilla, Jessie e Morsetto, poi i porci che si adagiarono sulla paglia immediatamente davanti alla piattaforma, le galline si appollaiarono sul davanzale delle finestre, i piccioni svolazzarono sulle travi, le pecore e le mucche si accovacciarono dietro ai maiali e cominciarono a ruminare. I due cavalli da tiro, Gondrano e Berta, arrivarono assieme, camminando lenti e appoggiando cauti i loro ampi zoccoli pelosi per tema che qualche piccolo animale potesse trovarsi nascosto nella paglia. Berta era una grossa, materna cavalla di mezza età che, dopo il quarto parto, non aveva più riacquistato la sua linea. Gondrano era una bestia enorme, alta quasi diciotto palmi e forte come due cavalli comuni messi assieme. Una striscia bianca lungo il naso gli dava un'espressione alquanto stupida, e, in realtà, non aveva una grande intelligenza, ma era universalmente rispettato per la sua fermezza di carattere e per la sua enorme potenza di lavoro. Dopo i cavalli, vennero Muriel, la capra bianca, e Benjamin, l'asino. Benjamin era la bestia più vecchia della fattoria e la più bisbetica. Parlava raramente e quando apriva bocca era per fare ciniche osservazioni; per esempio, diceva che Dio gli aveva dato la coda per scacciare le mosche, ma che sarebbe stato meglio non ci fossero state né coda né mosche. Solo fra tutti gli animali della fattoria non rideva mai. Se gli si domandava il é, rispondeva che non vedeva nulla di cui si potesse ridere. Ma senza dimostrarlo apertamente era devoto a Gondrano: i due usavano passare assieme la domenica nel piccolo recinto dietro all'orto, brucando erba a fianco a fianco senza mai aprir bocca.

I due cavalli si erano appena sdraiati quando una covata di anatroccoli che aveva perduto la madre entrò in fila nel granaio, pigolando debolmente e andando qua e là in cerca di un luogo ove non si corresse il rischio di venir calpestati. Berta, con le sue grosse zampe anteriori, fece una specie di muro attorno ad essi, e gli anatroccoli corsero a quel rifugio e subito si addormentarono. All'ultimo momento Mollie, la graziosa e vispa cavallina bianca che tirava il calesse del signor Jones, entrò, camminando con grazia affettata e succhiando una zolletta di zucchero. Prese posto presso la piattaforma, scuotendo la bianca criniera, nella speranza di attirar l'attenzione sui nastri rossi che vi erano intrecciati. Ultimo di tutti giunse il gatto che, come al solito, si guardò attorno in cerca del posto più caldo e si cacciò infine tra Gondrano e Berta; là si distese beatamente a far le fusa per tutta la durata del discorso del Vecchio Maggiore senza ascoltare una parola di ciò che questi diceva.

Tutti gli animali erano ora presenti, eccetto Mosè, il corvo domestico, che dormiva su un trespolo dietro la porta d'entrata. Quando vide che tutti si erano bene accomodati e aspettavano attenti, il Vecchio Maggiore si rischiarò la gola e cominciò:

Compagni, già sapete dello strano sogno che ho fatto la notte scorsa, ma di ciò parlerò più tardi. Ho avuto una vita lunga, ho avuto molto tempo per pensare mentre me ne stavo solo, sdraiato nel mio stallo, e credo di poter dire d'aver compreso, meglio di ogni animale vivente, la natura della vita su questa terra. Di ciò desidero parlarvi.

Ora, compagni, di qual natura è la nostra vita? Guardiamola: la nostra vita è misera, faticosa e breve. Si nasce e ci vien dato quel cibo appena sufficiente per tenerci in piedi, e quelli di noi che ne sono capaci sono forzati a lavorare fino all'estremo delle loro forze; e, nello stesso istante in cui ciò che si può trarre da noi ha un termine, siamo scannati con orrenda crudeltà. Non vi è animale in Inghilterra che, dopo il primo anno di vita, sappia che cosa siano la felicità e il riposo. Non vi è animale in Inghilterra che sia libero. La vita di un animale è miseria e schiavitù: questa è la cruda verità.

Fa forse ciò parte dell'ordine della natura? Forse questa nostra terra è tanto povera da non poter dare una vita passabile a chi l'abita? No, compagni, mille volte no! Il suolo dell'Inghilterra è fertile, il suo clima è buono, e può dar cibo in abbondanza a un numero d'animali enormemente superiore a quello che ora l'abita. Solo questa nostra fattoria potrebbe sostentare una dozzina di cavalli, venti mucche, centinaia di pecore, e a tutti potrebbe assicurare un agio e una dignità di vita che vanno oltre ogni immaginazione. é allora dobbiamo continuare in questa misera condizione? é quasi tutto il prodotto del nostro lavoro ci viene rubato dall'uomo. Questa, compagni, è la risposta a tutti i nostri problemi. Essa si assomma in una sola parola: uomo. L'uomo è il solo, vero nemico che abbiamo. Si tolga l'uomo dalla scena e sarà tolta per sempre la causa della fame e della fatica.

L'uomo è la sola creatura che consuma senza produrre. Egli non dà latte, non fa uova, è troppo debole per tirare l'aratro, non può correre abbastanza velocemente per prendere conigli. E tuttavia è il signore di tutti gli animali.

Li fa lavorare e in cambio dà ad essi quel minimo che impedisca loro di morir di fame e tiene il resto per sé. Il nostro lavoro coltiva la terra, i nostri escrementi la rendono fertile, eppure non uno di noi possiede più che la sua nuda pelle. Voi, mucche che vedo davanti a me, quante migliaia di galloni di latte avete dato durante lo scorso anno? E che ne è stato di quel latte che avrebbe dovuto nutrire vigorosi vitelli? Ogni sua goccia è andata giù per la gola del nostro nemico. E voi, galline, quante uova avete deposto in un anno e quante di queste uova si sono dischiuse al pulcino? Le restanti si sono tutte mutate in danaro per Jones e i suoi uomini. E tu, Berta, dove sono i quattro puledri che hai portato in grembo e che avrebbero dovuto essere il sostegno e il conforto della tua vecchiaia? Ognuno di essi fu venduto al compiere di un anno e tu non li rivedrai mai più. In cambio dei tuoi quattro parti e di tutto il lavoro dei campi, che cosa hai avuto se non una scarsa razione e una stalla? «E neppure avviene che la misera vita che conduciamo abbia il suo corso naturale. Non mi lamento per me, é io sono tra i fortunati. Ho dodici anni e ho avuto più di quattrocento figli. Questa è la naturale vita di un maiale. Ma nessun animale sfugge infine al coltello crudele. Voi, giovani lattonzoli che mi sedete dinanzi, voi tutti entro un anno griderete per il fuggir della vita. A questo orrore ciascuno di noi deve giungere: mucche, porci, galline, pecore; tutti. Persino i cavalli e i cani non hanno miglior destino. Tu, Gondrano, il giorno stesso in cui i tuoi possenti muscoli avranno perduto la loro forza, sarai venduto da Jones all'uomo che ti taglierà la gola e farà bollire la tua carne per darla in pasto ai cani da caccia. Quanto ai cani, alloré diventano vecchi e senza denti, Jones lega loro una pietra al collo e li annega nel più vicino stagno.

Dunque, compagni, non è chiaro come il cristallo che tutti i mali della nostra vita nascono dalla tirannia dell'uomo? Eliminiamo l'uomo e il prodotto del nostro lavoro sarà nostro. Prima di sera potremmo divenire ricchi e liberi. Che fare dunque? Lavorare notte e giorno, corpo e anima per la distruzione della razza umana! Questo è il mio messaggio a voi, compagni: Rivoluzione! Non posso dire quando questa Rivoluzione verrà: potrebbe essere fra una settimana o fra cent'anni; ma so, con la stessa certezza con cui vedo questa paglia sotto i miei piedi, che presto o tardi giustizia sarà fatta. Compagni, in questo evento fissate il vostro sguardo per quel resto di vita che vi rimane. E soprattutto tramandate questo mio messaggio a quelli che verranno dopo di voi, in modo che le future generazioni proseguano la lotta fino alla vittoria.

«E ricordate, compagni, che la vostra risoluzione mai deve vacillare. Nessun argomento vi faccia deviare. Non date ascolto quando vi si dice che l'uomo e gli animali hanno un comune interesse, che la prosperità dell'uno è la prosperità degli altri. E' tutta menzogna. L'uomo non serve gli interessi di nessuna creatura all'infuori dei suoi. E fra noi animali ci sia perfetta unità di vedute, solidarietà perfetta in questa lotta. Tutti gli uomini sono nemici. Tutti gli animali sono compagni.» Avvenne qui un tremendo scompiglio. Mentre il Vecchio Maggiore stava parlando, quattro grossi topi erano usciti dal loro buco e, appoggiati ai quarti posteriori, si erano messi ad ascoltare. I cani li avevano subito notati, e solo con un rapido ritorno alle loro tane i topi ebbero salva la vita. Il Vecchio Maggiore alzò la zampa per imporre il silenzio.

«Compagni» disse «ecco un punto che deve essere chiarito. Le creature selvatiche come i topi e i conigli sono nostri amici o nostri nemici? Mettiamo la questione ai voti. Propongo all'assemblea il seguente quesito: i topi sono compagni?» La votazione fu rapida e con stragrande maggioranza si stabilì che i topi erano compagni. Vi furono solo quattro dissenzienti: i tre cani e il gatto, il quale, come si scoprì poi, aveva però votato per ambo le parti. Il Vecchio Maggiore proseguì:

Poco mi rimane ancora da dire. Solo ripeto di ricordar sempre il vostro dovere di inimicizia verso l'uomo e tutte le sue arti. Tutto ciò che cammina su due gambe è nemico. Tutto ciò che cammina su quattro gambe o ha ali è amico. E ricordate pure che nel combattere l'uomo non dobbiamo venirgli ad assomigliare. Anche quando l'avrete distrutto, non adottate i suoi vizi. Nessun animale vada mai a vivere in una casa, o dorma in un letto, o vesta panni, o beva alcolici, o fumi tabacco, o maneggi danaro, o faccia commercio. Tutte le abitudini dell'uomo sono malvagie. E, soprattutto, nessun animale divenga tiranno ai suoi simili. Deboli o forti, intelligenti o sciocchi, siamo tutti fratelli. Mai un animale uccida un altro animale. Tutti gli animali sono uguali. «E ora, compagni, vi dirò del mio sogno dell'altra notte. Non vi posso descrivere quel sogno. Era il sogno della Terra come sarà quando l'uomo sarà scomparso. Ma mi ha rammemorato di una cosa che da lungo tempo avevo dimenticato. Molti anni fa, quando non ero che un lattonzolo, mia madre e altre scrofe usavano cantare una vecchia canzone di cui esse non conoscevano che l'aria e le prime tre parole. Conoscevo quell'aria fin dall'infanzia, ma da molto tempo mi era uscita di mente. L'altra notte, però, essa mi ritornò in sogno. E ciò che più conta, anche le parole della canzone mi ritornarono, parole, sono sicuro, che erano cantate dagli animali di molto, molto tempo fa e di cui da generazioni si era perduta la memoria. Vi canterò ora questa canzone, compagni. Sono vecchio e la mia voce è rauca, ma quando vi avrò insegnato l'aria la potrete cantare meglio da voi. E' intitolata Animali d'Inghilterra.

Il Vecchio Maggiore si rischiarò la gola e cominciò a cantare, e cantò abbastanza bene, e l'aria era eccitante, qualcosa fra Clementine e La Cucaracha. Le parole dicevano:



Animali d'Inghilterra,
d'ogni clima e d'ogni terra,
ascoltate il lieto coro:
tornerà l'età dell'oro!

Tosto o tardi tornerà:
l'uom tiranno a terra andrà;
per le bestie sol cortese
sarà l'alma terra inglese.

Non più anelli alle narici,
non più gioghi alle cervici,
e per sempre in perdizione
andran frusta, morso e sprone.

Sarem ricchi, sazi appieno:
orzo, grano, avena, fieno,
barbabietole e foraggio
saran sol nostro retaggio.

Più splendenti i campi e i clivi,
e più puri i fonti e i rivi
e più dolce l'aer sarà
Quando avrem la libertà.

Per quel dì noi lotteremo,
per quel dì lieti morremo,
vacche, paperi, galline,
mille bestie, un solo fine.

Animali d'Inghilterra,
d'ogni clima e d'ogni terra,
ascoltate il lieto coro:
tornerà l'età dell'oro!



Il canto di quest'inno portò gli animali al colmo dell'entusiasmo. Prima ancora che il Vecchio Maggiore fosse giunto alla fine, tutti avevano cominciato a cantarlo per proprio conto. Anche i più stupidi ne avevano già afferrata l'aria e alcune parole, e quanto ai più intelligenti, come i maiali e i cani, già in pochi minuti avevano imparato a memoria tutta quanta la canzone. Allora, dopo alcune prove preliminari, l'intera fattoria intonò Animati d'Inghilterra in un tremendo unisono. Le mucche lo muggivano, i cani lo abbaiavano, le pecore lo belavano, i cavalli lo nitrivano, le anitre lo quacqueravano. Erano così entusiasti dell'inno che lo cantarono cinque volte di seguito, e avrebbero continuato per tutta la notte se non fossero stati interrotti.

Disgraziatamente, infatti, il frastuono svegliò il signor Jones, che saltò giù dal letto, sicuro che nell'aia vi fosse una volpe. Afferrò il fucile che stava sempre in un angolo della sua stanza e sparò nelle tenebre una scarica del numero 6. I pallini si conficcarono nel muro del granaio e la riunione si sciolse in tutta fretta. Ognuno corse al luogo dove era solito passare la notte. Gli uccelli volarono sui loro trespoli, gli animali si coricarono sulla paglia, e in pochi istanti tutta la fattoria fu immersa in un profondo sonno.

Capitolo II
Tre notti più tardi il Vecchio Maggiore moriva pacificamente nel sonno. Il suo corpo fu seppellito

al margine del frutteto.

Ciò avveniva nei primi giorni di marzo. Nei tre mesi che seguirono vi fu grande attività segreta. Il discorso del Vecchio Maggiore aveva dato agli animali più intelligenti una visione affatto nuova della vita. Non sapevano quando sarebbe avvenuta la Rivoluzione preconizzata dal Vecchio Maggiore, non avevano ragione di credere che essa sarebbe avvenuta durante il loro periodo di vita, ma vedevano chiaramente che era loro dovere prepararla. L'opera di propaganda e di organizzazione cadde naturalmente sui maiali, la cui intelligenza superiore era generalmente riconosciuta da tutti gli animali. Preminenti fra i porci erano due giovani verri, chiamati Palla di Neve e Napoleon, che il signor Jones stava allevando per la vendita. Napoleon era un grosso verro del Berkshire dall'aspetto piuttosto feroce, l'unico Berkshire della fattoria, non molto comunicativo, ma in fama di voler sempre fare a modo suo. Palla di Neve era un maiale più vivace di Napoleon, più svelto nel parlare e di maggiore inventiva, ma stimato di una minor profondità di carattere. Tutti gli altri maiali maschi della fattoria erano destinati al macello. Il più noto fra essi era un porchetto grasso chiamato Clarinetto, con guance assai rotonde, occhi vivi, mosse agili e voce acuta. Era un parlatore brillante e quando stava svolgendo qualche punto difficile aveva un modo tutto suo di saltellare da un lato all'altro e di menare la coda in gesto molto persuasivo. Gli altri dicevano di Clarinetto che avrebbe saputo far vedere bianco per nero.

Questi tre avevano elaborato gli insegnamenti del Vecchio Maggiore in un completo sistema di massime a cui avevano dato il nome di Animalismo. Diverse notti la settimana, dopo che il signor Jones era andato a dormire, essi tenevano riunioni segrete nel granaio ed esponevano agli altri i principi dell'Animalismo. Dapprima le bestie si riunirono stupidamente e senza entusiasmo. Alcuni animali parlavano del dovere di lealtà verso il signor Jones, che essi chiamavano "Padrone", e facevano osservazioni elementari, come: «Il signor Jones ci dà da mangiare. Se se ne andasse, noi moriremmo di fame». Altri facevano domande assurde come: «é dovremmo preoccuparci di quello che avverrà dopo la nostra morte?» oppure: «Se questa Rivoluzione deve in ogni caso avvenire, che importa se noi lavoriamo o no per essa?». E i maiali avevano gran difficoltà a far loro intendere che ciò era contrario allo spirito dell'Animalismo. Le domande più sciocche erano poste da Mollie, la cavallina bianca. La prima domanda che essa fece a Palla di Neve fu: «Ci sarà ancora zucchero dopo la Rivoluzione?». «No» rispose Palla di Neve decisamente; «non abbiamo mezzi per fare lo zucchero in questa fattoria. Poi, non avrai bisogno di zucchero. Avrai tutta l'avena e il fieno che vorrai.»

«E potrò ancora mettermi nastri nella criniera?» domandò Mollie.

«Compagna» ribatté Palla di Neve «quei nastri che ti piacciono tanto sono il segno della schiavitù. Non capisci che la libertà vale assai più di un nastro?» Mollie consentì, pur non mostrandosi troppo convinta. Una più dura lotta dovettero sostenere i maiali per smentire le menzogne messe in giro da Mosè, il corvo domestico. Mosè, il favorito del signor Jones, era una spia e un delatore, ma era anche un parlatore intelligente. Egli pretendeva di sapere dell'esistenza di un misterioso paese chiamato Monte Zuccherocandito dove tutti gli animali andavano quando morivano.

Era situato in qualche luogo, su, nel cielo, oltre le nuvole, diceva Mosè. Sul Monte Zuccherocandito era domenica sette giorni la settimana, il trifoglio era tutto l'anno di stagione, e sulle siepi crescevano zollette di zucchero e semi di lino. Gli animali odiavano Mosè é raccontava storie e non lavorava, ma qualcuno di essi credeva nel Monte Zuccherocandito, e i maiali avevano un bel daffare a persuaderli che un tal sito non esisteva.

I loro più fedeli discepoli erano i due cavalli da tiro, Gondrano e Berta. Questi due avevano grande difficoltà a pensare qualsiasi cosa che fosse fuori di loro stessi, ma, una volta accettati i maiali quali loro maestri, assorbivano tutto quanto veniva loro detto e con semplice argomentazione lo passavano agli altri. Non mancavano mai alle riunioni segrete nel granaio e dirigevano il canto di Animali d'Inghilterra con il quale sempre si chiudevano tali adunate. Ora avvenne che la Rivoluzione si verificò assai prima di quanto nessuno si aspettasse. Negli anni precedenti il signor Jones, pur essendo un duro padrone, era stato un abile agricoltore; ma, negli ultimi tempi, tristi giorni si erano abbattuti su lui. La perdita di danaro in una causa legale lo aveva accorato al punto che aveva cominciato a bere assai più di quanto non fosse per lui ragionevole. Gli accadeva talvolta di restare intere giornate in cucina sdraiato nella sua poltrona Windsor a leggere giornali, a bere e, incidentalmente, a dare a Mosè croste di pane inzuppato nella birra. I suoi uomini erano pigri e disonesti, i campi pieni di gramigne; i fabbricati richiedevano riparazioni ai tetti, gli steccati venivano trascurati, gli animali mal nutriti. Venne giugno e il fieno era quasi pronto per il taglio. Alla vigilia della festa di S. Giovanni, che era un sabato, il signor Jones andò a Willingdon e prese una tale sbornia al Leone Rosso che non poté rincasare prima del mezzogiorno della domenica. Gli uomini avevano munto le mucche il mattino presto, poi se n'erano andati senza preoccuparsi di dar da mangiare agli animali. Il signor Jones, come rientrò in casa, andò subito a dormire sul divano del salotto, coprendosi il viso con un giornale, così che quando venne la sera gli animali erano sempre digiuni. Alla fine essi non ne poterono più. Una mucca con una cornata sfondò la porta del magazzino e tutti gli animali cominciarono a servirsi di quanto era là ammucchiato. Proprio allora il signor Jones si svegliò. Un momento dopo, assieme ai suoi quattro uomini, era nel magazzino e con la frusta menava terribili sferzate a dritta e a manca. Era più di quanto quelle bestie affamate potessero sopportare. Di comune accordo, bené nulla del genere fosse stato prima progettato, si lanciarono sui loro aguzzini. Jones e i suoi uomini si trovarono a un tratto sospinti, battuti, presi a calci da ogni parte. Impossibile far fronte alla situazione. Mai prima avevano visto animali comportarsi in tal modo, e questa improvvisa sollevazione di creature che essi erano abituati a frustare e maltrattare come volevano li sbigottì tanto da far quasi perder loro la testa. Dopo qualche istante rinunciarono a difendersi e se la diedero a gambe. Tutti e cinque fuggirono giù per la via carraia che conduceva alla strada maestra, e gli animali li inseguirono, trionfanti.

La signora Jones si affacciò alla finestra della stanza da letto, vide quel che stava accadendo, ficcò in tutta fretta in una valigia quel poco che poté raccogliere e, per altra uscita, sgattaiolò fuori dalla fattoria. Mosè lasciò il suo trespolo e si mise a svolazzare dietro di lei, gracchiando forte. Frattanto gli animali avevano scacciato Jones e i suoi uomini giù fino alla strada e violentemente chiuso il pesante cancello alle loro spalle. E così, prima ancora di rendersi conto di quello che stava accadendo, la Rivoluzione era stata posta in atto con pieno successo: Jones era stato espulso e la fattoria era caduta nelle loro mani.

Per i primi istanti, gli animali quasi non credevano a tanta fortuna. Il loro primo atto fu di galoppare in massa tutto attorno ai confini della fattoria, come per assicurarsi che nessun essere umano vi fosse in qualche modo nascosto; di corsa tornarono poi ai fabbricati per cancellare le ultime tracce dell'odiato regno di Jones. La selleria situata oltre le stalle fu sfondata: i freni, gli anelli per il naso, le catene dei cani, i coltelli crudeli con cui il signor Jones usava castrare i maiali e gli agnelli, tutto fu buttato nel pozzo. Le redini, le cavezze, i paraocchi, le avvilenti tasche mangiatoie furono gettati sul fuoco che ardeva in mezzo al cortile, alimentato da tutti i rifiuti. La stessa fine fecero le fruste. Tutti gli animali non stavano più in é per la gioia di veder le fruste andare in fiamme. Palla di Neve gettò pure sul fuoco i nastri con cui la signora Jones usava ornare le criniere e le code dei cavalli nei giorni di mercato.

«I nastri» disse «vanno considerati come i vestiti che sono il segno dell'essere umano. Tutti gli animali devono andare nudi.»

Quando udì questo, Gondrano andò a prendere il piccolo cappello di paglia che portava d'estate per difendere le orecchie dalle mosche e lo gettò sul fuoco con tutto il resto.

In brevissimo tempo gli animali avevano distrutto ogni cosa che ricordasse loro il signor Jones. Napoleon li condusse poi al magazzino delle provviste e servì ad ognuno una doppia razione di grano, mentre ai cani diede due biscotti per ciascuno. Poi cantarono Animali d'Inghilterra dal principio alla fine per sette volte di seguito, dopo di che si sistemarono per la notte e dormirono come mai avevano dormito prima. Ma si svegliarono all'alba, come al solito e, ricordando a un tratto i gloriosi avvenimenti del giorno precedente, tutti assieme corsero al pascolo. Da una collinetta poco oltre il pascolo stesso si godeva la vista di quasi tutta la fattoria. Gli animali vi montarono in cima e si guardarono attorno nella chiara luce del mattino. Sì, quello era loro, tutto ciò che vedevano era loro! Nell'esaltazione di quel pensiero andavano qua e là e si lanciavano in aria con salti prodigiosi. Si rotolavano nella rugiada, si riempivano la bocca della dolce erba estiva, con le zampe sollevavano zolle di terra e ne aspiravano il greve sentore. Fecero poi un giro d'ispezione per tutta la fattoria e, con muta ammirazione, osservarono le terre arate, i campi di fieno, il frutteto, lo stagno, il boschetto. Era come se mai avessero visto prima quelle cose, e ancora stentavano a credere che tutto fosse loro. In fila fecero poi ritorno ai fabbricati e in silenzio si fermarono davanti alla porta della casa colonica. Anche quella era loro, ma avevano paura a entrarvi. Dopo alcuni istanti, tuttavia, Palla di Neve e Napoleon con una spallata aprirono la porta e gli animali entrarono l'uno dopo l'altro, camminando con la massima cautela per non urtare qualcosa. In punta di piedi andarono di stanza in stanza, timorosi di parlare se non in bisbiglio, guardando con una specie di terrore l'incredibile lusso, i letti coi loro materassi di piuma, gli specchi, il divano di crine, il tappeto di Bruxelles, la litografia della regina Vittoria sopra la caminiera del salotto. Stavano scendendo le scale quando si accorsero dell'assenza di Mollie. Tornando indietro, trovarono che essa si era fermata nella più bella stanza da letto. Dalla tavola di toeletta della signora Jones aveva preso un nastro azzurro e se l'era posto sulla spalla, ammirandosi nello specchio, da vera scioccherella. La rimproverarono aspramente e uscirono. Alcuni prosciutti appesi nella cucina furono presi per dar loro sepoltura e un barile di birra nella dispensa fu sfondato da un calcio di Gondrano. Null'altro fu toccato nella casa. Fu presa sul luogo la unanime decisione che la casa colonica sarebbe stata conservata come museo. Tutti convennero che nessun animale vi sarebbe mai andato a vivere.

Gli animali ebbero la loro prima colazione, poi Palla di Neve e Napoleon li chiamarono ancora a raduno.

«Compagni» disse Palla di Neve «sono le sei e mezzo e abbiamo davanti a noi una lunga giornata. Oggi cominceremo la raccolta del fieno. Ma vi è un'altra cosa che dobbiamo subito fare.»

I maiali rivelarono allora che durante gli ultimi tre mesi essi avevano imparato a leggere e a scrivere da un vecchio sillabario che era appartenuto ai figli del signor Jones e che era stato gettato nelle immondizie. Napoleon si fece portare un barattolo di vernice bianca e uno di vernice nera e si avviò verso il grande cancello che si apriva sulla strada maestra. Poi Palla di Neve (é Palla di Neve aveva la miglior calligrafia), preso un pennello tra le zampe, cancellò FATTORIA PADRONALE sull'alto del cancello e, in sua vece, vi dipinse: FATTORIA DEGLI ANIMALI. Era questo il nome che la fattoria doveva da quel momento portare. Fatto ciò, tornarono ai fabbricati della fattoria, ove Palla di Neve e Napoleon fecero portare una scala a pioli che venne appoggiata contro il muro di fondo del grande granaio. Essi spiegarono che, con lo studio dei tre ultimi mesi, i maiali erano riusciti a concretare i principi dell'Animalismo in Sette Comandamenti. Questi Sette Comandamenti sarebbero stati scritti sul muro; avrebbero così formato una legge inalterabile secondo la quale tutte le bestie della Fattoria degli Animali avrebbero dovuto vivere da quel momento per sempre. Con qualche difficoltà (é non è facile per un maiale tenersi in equilibrio su una scala a pioli) Palla di Neve si arrampicò e si pose al lavoro, con Clarinetto qualche gradino più in basso che gli reggeva il barattolo della vernice. I Comandamenti furono scritti su un muro in catramato, a grandi lettere bianche che si potevano leggere alla distanza di trenta metri. Eccone il testo:

I SETTE COMANDAMENTI
1) Tutto ciò che va su due gambe è nemico.
2) Tutto ciò che va su quattro gambe o ha ali è amico.
3) Nessun animale vestirà abiti.
4) Nessun animale dormirà in un letto.
5) Nessun animale berrà alcolici.
6) Nessun animale ucciderà un altro animale.
7) Tutti gli animali sono uguali.


Tutto ciò era scritto molto accuratamente e, salvo qualche accento e un "tutto" con una t sola, anche l'ortografia era corretta. Palla di Neve li lesse ad alta voce a beneficio degli altri. Tutti gli animali annuirono in segno di assenso e i più intelligenti cominciarono subito a imparare i Sette Comandamenti a memoria.

«Ora, compagni» gridò Palla di Neve, gettando a terra il pennello «al prato! Facciamoci un punto d'onore di falciarlo più presto di quanto non saprebbero farlo Jones e i suoi uomini.»

Ma allora le tre mucche, che da qualche tempo mostravano segni di inquietudine, emisero un lungo muggito.

Da ventiquattr'ore non erano state munte e le loro mammelle erano piene da scoppiare. Dopo breve riflessione, i maiali mandarono a prendere un secchio e riuscirono felicemente a mungere le mucche, dato che i loro piedi erano abbastanza adatti a tale bisogna. Presto vi furono cinque secchi colmi di latte cremoso e denso a cui molti animali guardavano con profondo interesse.

«Che se ne fa di tutto questo latte?» chiese qualcuno.

«Jones usava talvolta mischiarne un po' al nostro pastone» disse una gallina. «Lasciate stare il latte, compagni!» gridò Napoleon, ponendosi davanti ai secchi. «Penseremo anche a questo. Il taglio del fieno è più importante. Il compagno Palla di Neve vi condurrà; io vi seguirò fra poco. Avanti, compagni, il fieno vi attende!»

Così gli animali, in truppa, si avviarono al prato per iniziare la falciatura, e quando furono di ritorno la sera notarono che del latte non restava più traccia alcuna.

Capitolo III
Quanta fatica e sudore per ritirare il fieno! Ma i loro sforzi furono infine compensati é il raccolto fu assai migliore di quanto avessero potuto sperare. Talvolta il lavoro era duro; gli strumenti erano stati fatti per l'uomo e non per animali, ed era un grande svantaggio che nessun animale potesse usare utensili per i quali sarebbe stato necessario reggersi sulle gambe posteriori. Ma i maiali erano tanto intelligenti che sapevano superare ogni difficoltà. Quanto ai cavalli, essi conoscevano il campo a palmo a palmo e in realtà si intendevano e sapevano di mietitura e di rastrellatura assai più e meglio di Jones e dei suoi uomini. I maiali non lavoravano, ma dirigevano e sorvegliavano gli altri. Con la loro cultura superiore era naturale che assumessero la direzione della comunità. Gondrano e Berta si attaccavano al falciatoio o al grande rastrello (non vi era più bisogno né di morso né di redini, naturalmente) e andavano senza sosta su e giù per il campo con un maiale che camminava al loro fianco gridando: «Avanti, compagni!» o «Indietro, compagni!» a seconda del caso. E ogni animale, fino al più umile, lavorava a voltare il fieno e a raccoglierlo. Persino le anitre e le galline si affannavano qua e là tutto il giorno sotto il sole, portando fili di fieno nel becco. Il raccolto fu condotto a termine in due giornate meno di quanto di solito impiegavano Jones e i suoi uomini. Inoltre era il più abbondante raccolto che la fattoria avesse mai visto. Né vi fu sperpero alcuno; le galline e le anitre con la loro vista acuta avevano raccattato fino all'ultimo filo d'erba. E nessun animale della fattoria ne aveva rubato neppure una boccata.

Durante tutta l'estate il lavoro si svolse con la precisione di un movimento d'orologeria. Gli animali erano felici come mai avrebbero potuto immaginare. Ogni boccata di cibo era un vero e acuto piacere, ora che era veramente il loro cibo, prodotto da loro per loro, non avaramente somministrato da un burbero padrone. Senza l'uomo parassita e buono a nulla, vi era abbondanza di cibo per tutti. Vi era anche maggior riposo, nonostante l'inesperienza degli animali. Naturalmente, incontrarono molte difficoltà; per esempio, più avanti con la stagione, quando ebbero mietuto il grano, dovettero calpestarlo al modo antico e col loro fiato soffiar via le scorie e la paglia, dato che la fattoria non possedeva una trebbiatrice; ma i maiali con il loro ingegno e Gondrano con i suoi possenti muscoli venivano a capo di tutto. Gondrano destava l'ammirazione generale. Era stato un forte lavoratore anche ai tempi di Jones, ma ora sembrava che in lui vi fossero non uno ma tre cavalli: vi erano giorni in cui tutto il lavoro della fattoria sembrava pesare sulle sue possenti spalle. Da mattina a sera spingeva e tirava, sempre presente ove la fatica era maggiore. Aveva convenuto con un galletto di farsi svegliare ogni mattina mezz'ora prima di tutti gli altri per prestarsi volontariamente al lavoro dove più era necessario, prima che cominciasse la quotidiana fatica. La sua risposta a ogni problema, a ogni difficoltà era: «Lavorerò di più!» frase che aveva adottato quale suo motto personale.

Ma tutti lavoravano secondo la propria capacità. Le galline e le anitre, per esempio, avevano salvato cinque covoni di grano durante la mietitura andando a spigolare i chicchi caduti. Nessuno rubava, nessuno mormorava sulla propria razione: i litigi, i morsi, le gelosie, che erano cose normali negli antichi giorni, erano quasi spariti. Nessuno si schivava, o quasi nessuno. Mollie, è vero, stentava ad alzarsi il mattino e aveva un modo tutto suo di lasciar presto il lavoro con la scusa che una pietra le era entrata nello zoccolo. E il comportamento del gatto aveva pure qualcosa di strano. Fu presto notato che quando c'era lavoro da fare il gatto era introvabile. Spariva per ore intere per riapparire al momento dei pasti e la sera a lavoro terminato, come se niente fosse stato. Ma portava sì eccellenti scuse e faceva le fusa tanto gentilmente che era impossibile non credere alle sue buone intenzioni. Il vecchio Benjamin, l'asino, non sembrava mutato dalla Rivoluzione. Faceva il suo lavoro nello stesso modo lento e ostinato con cui lo aveva compiuto ai tempi di Jones, mai ritraendosi, né mai offrendosi volontariamente per un lavoro straordinario. Sulla Rivoluzione e i suoi risultati mai aveva voluto esprimere la propria opinione. Quando gli chiedevano se non fosse più felice ora che Jones se n'era andato, si limitava a rispondere: «Gli asini hanno vita lunga. Nessuno di voi ha visto mai un asino morto». E gli altri dovevano accontentarsi di questa risposta sibillina.

Alla domenica non si lavorava. La prima colazione veniva fatta un'ora più tardi del solito e, dopo la colazione, aveva luogo una cerimonia che si teneva infallibilmente ogni settimana. V'era prima l'alzabandiera. Palla di Neve aveva trovato nella selleria una vecchia tovaglia verde del signor Jones, e vi aveva dipinto sopra in bianco uno zoccolo di cavallo e un corno. Ogni domenica mattina la bandiera veniva innalzata sull'asta, nel giardino della casa colonica. La bandiera era verde, spiegava Palla di Neve, per rappresentare i verdi campi d'Inghilterra, mentre lo zoccolo e il corno simboleggiavano la futura Repubblica degli Animali che sarebbe sorta quando la razza umana fosse stata finalmente distrutta. Dopo l'alzabandiera tutti gli animali si recavano in truppa nel grande granaio per un'assemblea generale che si chiamava Consiglio. Qui si tracciava il piano di lavoro della settimana entrante e i progetti venivano esposti e discussi. Erano sempre i maiali che esponevano i progetti. Gli altri animali capivano come dare il voto, ma non riuscivano a concepire in proprio alcun progetto. Palla di Neve e Napoleon erano di gran lunga i più attivi nelle discussioni. Ma i due non andavano mai d'accordo. Qualunque cosa proponesse l'uno, era certo di trovare l'opposizione dell'altro. Anche quando fu deciso cosa per se stessa al disopra di ogni critica - di destinare il piccolo campo oltre il frutteto quale luogo di riposo agli animali divenuti inabili al lavoro, una violenta discussione sorse circa i limiti di età per ogni classe di animali. Il Consiglio si chiudeva sempre al canto di Animali d'Inghilterra e il pomeriggio veniva dedicato agli svaghi.

I maiali si erano riservati, quale quartier generale, la selleria. Qui, la sera, essi studiavano su libri portati fuori dalla casa colonica, l'arte del maniscalco, del falegname e tutte quelle arti necessarie al buon andamento di una fattoria. Palla di Neve si dava pure molto da fare per gli altri animali in ciò che egli chiamava i Comitati Animali. Formò il "Comitato di Produzione delle Uova" per le galline, la "Lega delle Code Nette" per le mucche, il "Comitato di Rieducazione dei Compagni Selvatici" (lo scopo di tale comitato era di addomesticare i topi e i conigli), il "Movimento della Lana Bianca" per le pecore, e vari altri, oltre l'istituzione di classi per l'insegnamento della lettura e della scrittura. Nel loro assieme questi comitati risultarono un fallimento. Il tentativo di addomesticare le bestie selvatiche, per esempio, venne quasi subito troncato. Esse continuavano a comportarsi come prima, e, se trattate con generosità, non facevano che approfittarsene. Il gatto si unì al "Comitato di Rieducazione" e per qualche giorno si mostrò molto attivo. Lo si vide una volta seduto sopra un tetto mentre arringava dei passeri che erano al di fuori della portata delle sue grinfie. Diceva loro che tutti gli animali erano ora compagni e che qualunque passero avrebbe potuto adesso venirsi a posare sulle sue zampe; ma i passeri si mantennero a rispettosa distanza.

La scuola di lettura e scrittura ebbe invece un grande successo. In autunno quasi tutti gli animali della fattoria erano, chi più chi meno, letterati. Quanto ai maiali, essi sapevano già leggere e scrivere perfettamente. I cani impararono a leggere abbastanza bene, ma non si interessavano che alla lettura dei Sette Comandamenti. Muriel, la capra, sapeva leggere un po' meglio dei cani, e talvolta, la sera, usava far lettura agli altri di ritagli di giornale trovati nel mucchio della spazzatura. Benjamin sapeva leggere bene quanto i maiali ma non dava mai saggio di questa sua abilità. A parer suo, diceva, non c'era nulla che meritasse di essere letto. Berta aveva imparato tutto l'alfabeto, ma non era mai riuscita a metter assieme le parole. Gondrano non poté mai andare oltre la lettera d. Col suo grosso zoccolo tracciava sulla sabbia a, b, c, d, poi si fermava a fissare le lettere, con le orecchie abbassate, scuotendo talvolta il ciuffo sulla fronte, e cercando con tutte le sue forze di ricordarsi che cosa veniva dopo, ma mai vi riusciva. In molte lezioni aveva imparato invero e, t; g, h, ma quando sapeva queste si accorgeva di aver dimenticato a, b, c, d. Finalmente decise di accontentarsi delle prime quattro lettere e usava scriverle una o due volte al giorno per rinfrescarsi la memoria. Mollie rifiutò di imparare qualunque cosa che non fossero le sole lettere che componevano il suo nome. Essa lo formava assai graziosamente con ramoscelli, Poi lo ornava con alcuni fiori e vi passeggiava attorno, ammirando.

Nessuno degli altri animali della fattoria poté andare oltre la lettera a. Si trovò pure che le bestie più stupide, come le pecore, le galline e le anitre, non riuscivano a imparare a memoria i Sette Comandamenti. Dopo molto pensare, Palla di Neve dichiarò che i Sette Comandamenti potevano effettivamente venir ridotti a un'unica massima, e cioè: «Quattro gambe, buono; due gambe, cattivo». Ciò, disse, contiene il principio essenziale dell'Animalismo. Chi si fosse bene imbevuto di tale massima sarebbe stato al sicuro da ogni influenza umana. Dapprima gli uccelli protestarono, sembrando loro di aver anch'essi due gambe, ma Palla di Neve riuscì a dimostrare che le cose stavano diversamente.

 

«Le ali degli uccelli, compagni» disse «sono un organo di propulsione e non di manipolazione. Devono quindi essere considerate come gambe. Il segno distintivo dell'uomo è la mano, lo strumento col quale egli fa tutto ciò che è male.»

A bird's wing, comrades," he said, "is an organ of propulsion and not of manipulation. It should therefore be regarded as a leg. The distinguishing mark of man is the hand, the instrument with which he does all his mischief.


Gli uccelli non compresero le parole difficili di Palla di Neve, ma accettarono la sua spiegazione, e tutti i più umili animali si applicarono a imparare a memoria la nuova massima: «Quattro gambe, buono; due gambe, cattivo» fu scritto sul muro di fondo del granaio a lettere cubitali, sopra i Sette Comandamenti. Imparata che l'ebbero a memoria, la massima piacque tanto alle pecore che spesso, sdraiate sul prato, esse cominciavano a belare: «Quattro gambe, buono; due gambe, cattivo! Quattro gambe, buono; due gambe, cattivo!» e continuavano per ore e ore, senza stancarsi mai di ripeterla.

Napoleon non si interessava dei comitati di Palla di Neve. Egli diceva che l'educazione dei giovani era assai più importante di qualsiasi cosa si potesse fare per i già adulti. Avvenne che Jessie e Lilla avessero entrambe figliato quasi subito dopo la raccolta del fieno, dando alla luce, fra tutte e due, nove robusti cuccioli. Non appena svezzati, Napoleon li tolse alle loro madri dicendo di farsi egli stesso responsabile della loro educazione. Li mise in una soffitta alla quale non si poteva accedere che a mezzo di una scala a pioli dalla selleria, e là li tenne così separati da tutti gli altri che presto la fattoria dimenticò la loro esistenza.

Il mistero di dove andava a finire il latte fu presto svelato. Esso veniva ogni giorno mescolato nel mangime dei porci. Le prime mele stavano maturando e l'erba del frutteto era coperta di frutti caduti. Gli animali ritenevano cosa naturale che questi frutti venissero equamente divisi; un giorno però venne l'ordine che tutti quei frutti dovevano essere raccolti e portati nella selleria per uso dei porci. Mormorii corsero fra gli animali, ma invano. Tutti i maiali erano d'accordo su questo punto, perfino Palla di Neve e Napoleon. Fu mandato Clarinetto per dare agli altri le dovute spiegazioni.

«Compagni» gridò «voi non immaginerete, spero, che noi maiali facciamo questo per spirito d'egoismo o di privilegio. A molti di noi realmente ripugnano il latte e le mele. Anche a me non piacciono. Il solo scopo nel prendere queste cose è di conservare la nostra salute. Il latte e le mele (e ciò è provato dalla Scienza, compagni) contengono sostanze assolutamente necessarie al benessere del maiale. Noi maiali siamo lavoratori del pensiero. Tutto l'andamento e l'organizzazione di questa fattoria dipendono da noi. Giorno e notte noi vegliamo al vostro benessere. E' per il vostro bene che noi beviamo quel latte e mangiamo quelle mele.

---  Comrades! he cried. 'You do not imagine, I hope, that we pigs are doing this in a spirit of selfishness and privilege? Many of us actually dislike milk and apples. I dislike them myself. Our sole object in taking these things is to preserve our health. Milk and apples (this has been proved by Science, comrades) contain substances absolutely necessary to the well-being of a pig. We pigs are brainworkers. The whole management and organisation of this farm depend on us. Day and night we are watching over your welfare. It is for your sake that we drink the milk and eat those apples.  ---
Sapete che accadrebbe se i maiali dovessero venir meno al loro dovere? Jones ritornerebbe! Sì, Jones ritornerebbe! Certo, compagni» gridò Clarinetto quasi supplichevole, saltellando da un lato all'altro e agitando la coda «certo non c'è nessuno fra voi che voglia il ritorno di Jones!»



Ora, se vi era una cosa di cui gli animali fossero sicuri, questa era che essi non volevano il ritorno di Jones. Posta la questione in questa luce, più nulla restava loro da dire. L'importanza di mantenere i maiali in buona salute risultava evidente. Così fu convenuto senz'altra osservazione che il latte e le mele cadute (come tutta la produzione delle mele quando fossero giunte a maturazione) sarebbero stati riservati si soli maiali.

Capitolo IV
Verso la fine dell'estate la notizia di quanto era avvenuto nella Fattoria degli Animali si era sparsa in mezza contea. Ogni giorno Palla di Neve e Napoleon spedivano stormi di piccioni che avevano istruzione di frequentare gli animali delle fattorie vicine, narrar loro la storia della Rivoluzione e insegnar loro l'aria di Animali d'Inghilterra.

Quasi tutto questo tempo il signor Jones l'aveva passato seduto nella sala comune dell'osteria del Leone Rosso a Willingdon, lamentandosi con tutti quelli che lo volevano sentire della mostruosa ingiustizia che aveva sofferto nel vedersi scacciato dalla sua proprietà da una massa di animali infingardi. Per principio gli altri agricoltori simpatizzavano con lui, senza dargli però grande aiuto. In fondo ognuno di loro pensava se la disgrazia di Jones non potesse in qualche modo volgersi a proprio vantaggio. Era una fortuna che i proprietari delle due Fattorie contigue alla Fattoria degli Animali fossero sempre in cattivi rapporti fra loro. Una di queste tenute, chiamata Foxwood, era una grande fattoria trascurata e antiquata, coperta da troppi boschi, con i pascoli esauriti e le siepi in misere condizioni. Il suo proprietario, signor Pilkington, era un gentiluomo campagnolo, che prendeva le cose con comodo e passava la maggior parte del tempo alla caccia o alla pesca, secondo la stagione.

L'altra fattoria, chiamata Pinchfield, era più piccola e meglio organizzata. Il suo proprietario era il signor Frederick, uomo forte e astuto, sempre implicato in cause e in fama di saper comperare quasi per nulla. Fra questi due vi era un'antipatia così forte che era loro difficile venire a qualsiasi accordo, sia pure in difesa dei propri interessi. Tuttavia, erano entrambi assai spaventati dalla rivoluzione della Fattoria degli Animali e preoccupatissimi d'impedire alle loro bestie di saperne troppo in proposito. Dapprima credettero di poter ridere e burlarsi dell'idea che animali potessero da soli condurre una fattoria. In un paio di settimane la cosa si sarebbe risolta, dicevano. Sparsero la voce che gli animali della Fattoria Padronale (persistevano a chiamarla la Fattoria Padronale, non potendo tollerare il nome di Fattoria degli Animali) erano sempre in lotta fra di loro e che stavano rapidamente morendo di fame. Ma il tempo passava ed evidentemente gli animali non morivano di fame; allora Frederick e Pilkington cambiarono tattica e cominciarono a parlare della terribile malvagità che ora regnava alla Fattoria degli Animali. Si diceva che quelle bestie praticavano il cannibalismo, che si torturavano a vicenda con ferri di cavallo roventi e che avevano le loro femmine in comune. Ecco quel che accadeva quando ci si ribellava alle leggi di natura, dicevano Frederick e Pilkington.

Queste storie trovavano però poco credito. Voci di una meravigliosa fattoria, da cui gli uomini erano stati espulsi e nella quale gli animali curavano da é i propri affari, continuavano a circolare in forme vaghe e contraddittorie, e per tutto l'anno un vento di ribellione spirò per la contea. Tori che erano sempre stati trattabili inferocivano; le pecore abbattevano i recinti e divoravano il trifoglio; le mucche rovesciavano i secchi a calci; i cavalli da caccia rifiutavano di saltare gli ostacoli e lanciavano dall'altra parte chi li montava.

Soprattutto l'aria e persino le parole di Animali d'Inghilterra erano conosciute dovunque: si erano divulgate con stupefacente rapidità. Gli uomini non potevano contenere la loro collera quando udivano quel canto. Non riuscivano a capire, dicevano, come le bestie potessero adattarsi a cantare una simile stupidaggine. Ogni animale sorpreso a cantarlo veniva staffilato sul posto. Pure quell'inno era insopprimibile. I merli lo fischiavano sulle siepi, i colombi lo tubavano fra gli olmi, se ne udiva il ritmo nel martello della fucina del fabbro, le campane delle chiese ne ripetevano l'aria. E, quando l'ascoltavano, gli uomini tremavano nel loro intimo é sentivano in esso la profezia del loro futuro destino.

Al principio di ottobre, quando già il grano era tagliato, ammucchiato e in parte trebbiato, uno stormo di piccioni venne roteando per l'aria e si posò nel cortile della Fattoria degli Animali nella più grande eccitazione. Jones e tutti i suoi uomini con una mezza dozzina d'altra gente di Foxwood e di Pinchfield erano entrati dal grande cancello e salivano per la via carrareccia che conduceva alla fattoria. Erano tutti armati di bastoni, meno Jones che recava in mano un fucile. Il loro scopo era certo quello di riconquistare la fattoria.

Da lungo tempo la cosa era attesa e già erano stati fatti tutti i preparativi. Palla di Neve, che aveva studiato un vecchio libro sulle campagne di Giulio Cesare, trovato nella casa colonica, era incaricato dell'opera di difesa. Impartì presto i suoi ordini e in pochi istanti ogni animale fu al suo posto. Quando gli uomini si avvicinarono ai fabbricati della fattoria, Palla di Neve lanciò il suo primo attacco. Tutti i piccioni, trentacinque, volarono avanti e indietro sulle teste degli invasori lasciando cadere da mezz'aria il loro sterco e, mentre gli uomini cercavano di difendersi da questo, le oche, nascoste dietro le siepi, si lanciarono fuori e incominciarono a beccare malignamente le loro caviglie. Questa non era che una prima, leggera scaramuccia che aveva lo scopo di creare un poco di disordine, e senza difficoltà alcuna gli uomini scacciarono le oche coi bastoni. Palla di Neve lanciò allora la seconda linea di attacco. Muriel, Benjamin e tutte le pecore, con Palla di Neve in testa, si slanciarono avanti e spinsero e percossero gli uomini da ogni parte, mentre Benjamin girava loro attorno colpendoli coi suoi piccoli zoccoli. Ma ancora una volta gli uomini coi loro bastoni e le loro scarpe ferrate furono i più forti; e improvvisamente, a un grido di Palla di Neve, che era il segnale della ritirata, tutti gli animali si volsero e fuggirono attraverso l'ingresso del cortile.

Gli uomini alzarono un urlo di trionfo. Essi videro, come si immaginavano, i loro nemici in fuga e in disordine e si precipitarono alle loro spalle. Era proprio quello che Palla di Neve aspettava. Non appena furono nel cortile, i tre cavalli, le tre mucche e il resto dei maiali che si era tenuto in agguato nel chiuso delle vacche uscirono tagliando loro la ritirata. Palla di Neve diede allora il segnale della carica.

Egli stesso si lanciò direttamente su Jones. Jones se lo vide capitare addosso, alzò il fucile e sparò. I pallini tracciarono strisce sanguigne sul dorso di Palla di Neve e una pecora cadde morta. Senza fermarsi un istante, Palla di Neve lanciò i suoi novantaquattro chili contro le gambe di Jones. Jones fu proiettato su un mucchio di concime e il fucile gli sfuggì di mano. Ma lo spettacolo più terrificante fu Gondrano, che, impennato sulle gambe posteriori come uno stallone, manovrava con le zampe anteriori, colpendo col suo possente zoccolo ferrato. La prima botta toccò a un garzone di stalla della Foxwood che, colpito al capo, cadde inanimato nel fango. A quella vista molti uomini gettarono il bastone, tentando la fuga. Il panico li colse e tutti gli animali si posero al loro inseguimento cacciandoli torno torno al cortile. Furono presi a cornate, a calci, a morsi, vennero calpestati. Neppure un animale della fattoria, secondo il suo potere, mancò di prendere su di essi la sua vendetta Persino il gatto, dal tetto, saltò improvvisamente sulle spalle di un boaro, conficcandogli le unghie nel collo e facendolo urlare per il dolore. Trovata per un momento la via libera, gli uomini furono ben lieti di precipitarsi fuori dal cortile e riguadagnare la strada maestra Così, cinque minuti dopo la loro invasione, erano in ignominiosa ritirata sulla stessa via per la quale erano venuti, inseguiti da uno stormo di gazze che li fischiavano e li beccavano sul cranio.

Tutti gli uomini erano fuggiti eccetto uno. In fondo al cortile Gondrano, accanto al garzone di stalla che giaceva col viso verso terra, cercava con le zampe di rivoltarlo. Il ragazzo non si muoveva. «E' morto» disse tristemente Gondrano. «Non avevo intenzione di ucciderlo. Ho dimenticato di avere i ferri ai piedi. Chi crederà che non l'ho fatto apposta?»

«Bando al sentimentalismo, compagni!» gridò Palla di Neve, dalle cui ferite colava ancora il sangue. «La guerra è la guerra. L'unico uomo buono è l'uomo morto.»

«Non desidero togliere la vita, sia pure una vita umana» ripeté Gondrano, e i suoi occhi erano pieni di lacrime.

«Dov'è Mollie?» chiese qualcuno. Mollie infatti mancava. Per un momento vi fu grande allarme; si temeva che gli uomini l'avessero in qualche modo ferita o anche che 1'avessero condotta via con loro. Fu trovata infine nascosta nel suo stallo, con la testa affondata nel fieno della mangiatoia. Era fuggita al colpo di fucile. E quando tornarono nel cortile trovarono che il garzone di stalla, il quale in realtà era solo stordito, si era rimesso in piedi e se n'era andato.

Gli animali si radunarono ora invasi da indescrivibile entusiasmo; ognuno raccontava le proprie imprese nella battaglia ad altissima voce. Venne subito improvvisata una celebrazione della vittoria. La bandiera fu innalzata e Animali d'Inghilterra fu cantato più volte; furono date solenni onoranze funebri alla pecora morta e sulla sua tomba venne piantato un cespuglio di biancospino. Presso la tomba, Palla di Neve tenne un breve discorso, magnificando la necessità che avevano tutti gli animali di esser pronti a morire per la Fattoria degli Animali, se morire occorreva.

Gli animali decisero all'unanimità di creare una decorazione militare, "Eroe Animale di Prima Classe", che venne conferita a Palla di Neve e a Gondrano. Consisteva in una medaglia di ottone (erano in realtà ornamenti per cavalli trovati nella selleria) da portarsi la domenica e nei giorni di festa. Fu istituito anche un "Eroe Animale di Seconda Classe" che fu dato alla memoria della pecora morta. Si discusse a lungo circa il nome da dare alla battaglia. Infine venne chiamata la Battaglia del Chiuso delle Vacche, é da lì era partito il grande attacco. Il fucile del signor Jones fu trovato in mezzo al letame, e si sapeva che nella casa colonica vi era rifornimento di cartucce Si decise di porre il fucile ai piedi dell'asta della bandiera, come un PEZZo d'artiglieria, e di spararlo due volte l'anno: una volta il dodici ottobre, anniversario della Battaglia del Chiuso delle Vacche, e una volta a S. Giovanni, anniversario della Rivoluzione.

Capitolo V
Con l'avanzare dell'inverno, Mollie divenne sempre più indisciplinata. Ogni mattina si recava tardi al lavoro e si scusava dicendo che era stata colta dal sonno; si lagnava di misteriosi dolori, bené il suo appetito fosse sempre eccellente. Con ogni pretesto lasciava il lavoro e andava ad abbeverarsi allo stagno dove scioccamente si fermava fissando la propria immagine riflessa nell'acqua. Ma si diceva anche qualcosa di peggio. Un giorno, mentre Mollie trotterellava tutta allegra per il cortile facendo ondeggiare la lunga coda e masticando un filo d'erba, Berta la prese da parte.

«Mollie» cominciò «ho qualcosa di molto serio da dirti. Stamane ti ho vista guardare oltre lo steccato che divide la Fattoria degli Animali da Foxwood. Uno degli uomini del signor Pilkington stava dall'altra parte dello steccato. E lo ero lontana, ma sono quasi certa di aver visto - egli ti parlava e tu lasciavi che ti accarezzasse il naso. Che significa ciò, Mollie?»

«Non è vero! Non ero io! Non è vero!» grido Mollie, cominciando a impennarsi e a battere il terreno con lo zoccolo.
«Mollie! Guardami in faccia. Puoi darmi 1a tua parola d'onore che quell'uomo non ti accarezzava il naso?»
«Non è vero!» ripeté Mollie, ma non poté guardare Berta in faccia, e subito dopo si volse e galoppò verso il campo.
Un pensiero colpì Berta. Senza dir nulla a nessuno andò allo stallo di Mollie e con le zampe rivoltò la paglia. Nascosti sotto la paglia vi erano un mucchietto di zollette di zucchero e nastri di differenti colori.

Tre giorni dopo Mollie sparì. Per più settimane nulla si seppe di lei, poi i piccioni riferirono di averla vista dall'altra parte di Willingdon. Stava fra le stanghe di un elegante calesse dipinto di rosso e di nero, fermo davanti a una liquoreria. Un uomo grasso, dal viso rosso, con calzoni a scacchi e uose, dall'aspetto di agente delle imposte, accarezzava il suo naso e le dava zollette di zucchero. Il suo mantello era rasato di fresco e attorno al ciuffo che le cadeva sulla fronte era legato un bel nastro rosso. Sembrava molto contenta, dissero i piccioni. Fra gli animali non si parlò più di Mollie.

In gennaio il freddo si fece intenso. La terra era come ferro e nessun lavoro poteva esser fatto nei campi. Si tennero molte riunioni nel grande granaio e i maiali si occuparono di fare programmi di lavoro per la futura stagione. Era cosa ormai convenuta e accettata che ai maiali, i quali evidentemente avevano un'intelligenza superiore a quella degli altri animali, spettasse decidere di ogni questione riguardante il governo della fattoria, bené le loro decisioni dovessero venir poi ratificate da una maggioranza di voti. Questa sistemazione sarebbe andata abbastanza bene senza il continuo dissenso fra Palla di Neve e Napoleon. Essi discordavano su ogni punto in cui discordare era possibile. Se uno era del parere che una maggior area fosse destinata alla semina dell'orzo, l'altro certo domandava una maggior estensione per l'avena; e se uno diceva che quel tal campo era solo buono per piantar cavoli, l'altro dichiarava che non serviva che a radici. Ognuno aveva il proprio modo di vedere e avvenivano violenti dibattiti. Alle riunioni spesso Palla di Neve otteneva la maggioranza per i suoi brillanti discorsi, ma Napoleon era più abile nel sollecitare per é i voti degli elettori. Particolare successo otteneva fra le pecore. Negli ultimi tempi le pecore avevano preso a belare: «Quattro gambe, buono; due gambe, cattivo» a proposito e a sproposito, e spesso con questo interrompevano le riunioni. Fu notato che, specialmente nei punti culminanti dei discorsi di Palla di Neve, esse intonavano: «Quattro gambe, buono; due gambe, cattivo». Palla di Neve aveva fatto uno studio profondo su alcuni numeri arretrati di "L'agricoltore e l'allevatore di bestiame" trovati nella casa colonica ed era pieno di progetti per innovazioni e migliorie. Parlava da competente di irrigazioni, di canali di scolo, di concimi base, e aveva elaborato un complicato schema secondo il quale tutti gli animali avrebbero deposto direttamente nel campo i loro escrementi, ogni giorno in un punto diverso, per risparmiare il lavoro di trasporto. Napoleon non espose alcun progetto suo, ma disse tranquillamente che quelli di Palla di Neve non sarebbero venuti a nulla e che, a suo parere, non costituivano che una perdita di tempo. Ma di tutte le controversie nessuna fu tanto aspra come quella riguardante il mulino a vento.

Nel lungo pascolo, non lontano dalle dipendenze della fattoria, sorgeva una collinetta che era il punto più alto della tenuta. Dopo aver studiato il terreno, Palla di Neve dichiarò che quello era il posto adatto per un mulino a vento, il quale avrebbe potuto azionare una dinamo e fornire così di forza elettrica la fattoria. Con questa si sarebbero potute illuminare le stalle, riscaldarle d'inverno e mettere pure in azione una sega circolare, un trinciapaglia, una affettatrice per barbabietole e una macchina elettrica per la mungitura. Gli animali non avevano mai udito nulla di simile (é la fattoria era antiquata e non possedeva che un'attrezzatura primitiva), e ascoltavano pieni di stupore mentre Palla di Neve evocava immagini di macchine fantastiche che avrebbero lavorato per loro mentre tranquillamente essi avrebbero pascolato nei campi o arricchito le loro menti con letture e conversazioni. Nello spazio di poche settimane il progetto di Palla di Neve per il mulino a vento fu portato a termine. I particolari meccanici erano stati ricavati principalmente da tre libri che erano appartenuti al signor Jones: Mille cose utili per la casa, L'arte del muratore e Elettricità per principianti. Palla di Neve usava come suo studio particolare una baracca che un tempo era servita da camera per le incubatrici, e aveva un pavimento di legno levigato e adatto per disegnarvi sopra. Là si chiudeva per ore e ore. Coi suoi libri tenuti aperti da una pietra e con un PEZZo di gesso stretto fra le articolazioni delle zampe anteriori, si muoveva rapidamente avanti e indietro, disegnando una linea dopo l'altra e gettando ogni tanto grugniti di soddisfazione. A poco a poco il progetto si sviluppò in una complicata massa di curve e di linee che coprivano quasi la metà del pavimento, del tutto incomprensibili agli altri animali, ma che facevano loro profonda impressione. Tutti andavano almeno una volta al giorno a guardare i disegni di Palla di Neve. Venivano persino le galline e le oche che avevano gran pena a non camminare sul tracciato di gesso. Solo Napoleon se ne teneva lontano. Dal primo momento si era dichiarato contrario al mulino a vento. Tuttavia, un giorno, giunse inatteso a esaminare il piano. Con passo pesante fece il giro del locale, osservò attentamente ogni particolare del disegno, annusando ogni tanto, poi si fermò un poco contemplandolo con la coda dell'occhio, infine, subitamente, alzò la gamba, orinò sul progetto e uscì senza pronunciar parola. Tutta la fattoria era profondamente divisa a proposito del mulino a vento. Palla di Neve non negava che la sua costruzione sarebbe stata difficile. Si dovevano squadrare le pietre e innalzare le mura, poi si dovevano fare le pale, e dopo ci sarebbe stato bisogno della dinamo e dei cavi. Palla di Neve non diceva come avrebbe potuto procurarsi tutto questo, ma assicurava che ogni cosa si sarebbe potuta fare in un anno. E dopo, dichiarava, si sarebbe risparmiato tanto lavoro che gli animali non avrebbero avuto bisogno di affaticarsi che tre giorni per settimana. D'altra parte, Napoleon dimostrava che la grande necessità del momento era quella di accrescere la produzione dei viveri e che se perdevano tempo col mulino sarebbero morti di fame. Gli animali si divisero in due fazioni, sotto il grido «Votate per Palla di Neve e la settimana di tre giorni» e «Votate per Napoleon e la mangiatoia piena». Benjamin fu l'unico che non parteggiasse né per l'una né per l'altra fazione. Egli rifiutava di credere sia a una maggior abbondanza di cibo, sia a un minor lavoro in grazia del mulino a vento. Mulino o non mulino, diceva, la vita andrà avanti come è sempre andata, cioè male.

Oltre la discussione del mulino, vi era la questione della difesa della fattoria. Sapevano bene che gli uomini, sebbene fossero stati sconfitti nella Battaglia del Chiuso delle Vacche, avrebbero potuto fare un altro e più deciso tentativo per riconquistare la fattoria e restaurarvi Jones. Come sempre, Palla di Neve e Napoleon erano in disaccordo. Secondo Napoleon, ciò che gli animali dovevano fare era procurarsi armi da fuoco e addestrarsi al loro uso. Palla di Neve era invece del parere che si dovessero spedire stormi e stormi di piccioni a suscitare la Rivoluzione fra gli animali delle altre fattorie. L'uno argomentava che se non avessero saputo difendersi da soli erano destinati a esser vinti; l'altro ragionava che, se la Rivoluzione fosse scoppiata dappertutto, essi non avrebbero più avuto bisogno di difendersi. Gli animali ascoltavano prima Napoleon, poi Palla di Neve e non sapevano decidere chi dei due avesse ragione. In realtà si trovavano sempre d'accordo con quello che parlava al momento. Venne finalmente il giorno in cui il progetto di Palla di Neve fu pronto. Nel Consiglio della domenica successiva la questione se i lavori del mulino a vento dovessero cominciare o no fu posta ai voti. Quando gli animali furono tutti riuniti nel grande granaio, Palla di Neve si alzò e, bené talvolta interrotto dal belato delle pecore, espose le sue ragioni in favore della costruzione del mulino. Poi si alzò a rispondere Napoleon. Egli disse tranquillamente che il mulino era una sciocchezza e che il suo consiglio era che nessuno votasse per esso; poi subito sedette. Non aveva parlato che per trenta secondi e sembrava affatto indifferente all'effetto prodotto. Allora Palla di Neve scattò in piedi e, gridando alle pecore che avevano ricominciato a belare, uscì in una appassionata perorazione in favore del mulino. Fino a quel momento le simpatie degli animali erano state equamente divise, ma allora l'eloquenza di Palla di Neve ebbe il sopravvento. In frasi brillanti egli fece un quadro della Fattoria degli Animali quale sarebbe stata quando il vile lavoro non avrebbe più gravato sul dorso delle bestie. La sua immaginazione andava ora ben oltre il trinciapaglia e l'affettatrice di barbabietole. L'elettricità, disse, avrebbe potuto muovere trebbiatrici, aratri, rastrelli, rulli, macchine per falciare il grano e legare i covoni, oltre che fornire le stalle di luce elettrica e di riscaldamento. Quando ebbe finito di parlare nessuno più dubitava a chi sarebbe andato il voto. Ma proprio allora Napoleon si alzò e gettando una strana occhiata di traverso a Palla di Neve emise un altissimo lamento, quale nessuno 1'aveva mai sentito emettere. A questo rispose un terribile latrato, e nove enormi cani che portavano collari ornati di punte d ottone fecero irruzione nel granaio. Essi si avventarono su Palla di Neve che balzò dal suo posto appena in tempo per sfuggire alle loro feroci mascelle. In un istante si trovò fuori coi cani che lo inseguivano. Troppo sbalorditi e spaventati per parlare, tutti gli animali si affollarono sulla porta per assistere all'inseguimento. Palla di Neve correva attraverso il lungo pascolo che conduceva alla strada. Correva come solo un maiale sa correre, ma i cani gli erano alle calcagna. A un tratto scivolò e parve certo che sarebbe stato raggiunto. Poi si rialzò, correndo sempre più forte; ma i cani guadagnarono ancora terreno. Uno di essi era quasi riuscito ad addentare la coda di Palla di Neve, ma Palla di Neve con un rapido movimento poté liberarsi proprio a tempo. Con un ultimo slancio, quando ormai il suo vantaggio era ridotto a pochi centimetri, sgusciò attraverso un'apertura del recinto e non fu visto mai più. Muti e terrorizzati, gli animali lentamente rientrarono nel granaio. Poco dopo balzarono dentro, di ritorno, i cani. Dapprima nessuno riusciva a immaginare da dove queste creature fossero venute; ma il problema fu presto risolto: erano i cuccioli che Napoleon aveva tolto alle proprie madri e che aveva allevato in segreto. Bené non avessero ancora raggiunto il loro pieno sviluppo, erano cani enormi e dall'aspetto feroce di lupi. Si posero vicini a Napoleon e si vide che dimenavano le code allo stesso modo che gli altri cani usavano fare con il signor Jones.

Napoleon, seguito dai cani, montò ora su quella specie di palco da cui il Vecchio Maggiore aveva un tempo pronunciato il suo discorso. Annunciò che da quel momento le sedute della domenica mattina sarebbero state sospese. Esse non erano necessarie e non costituivano che una perdita di tempo. In avvenire tutte le questioni relative al lavoro della fattoria sarebbero state definite da uno speciale comitato di maiali presieduto da lui stesso. Questo comitato si sarebbe riunito privatamente e le sue decisioni sarebbero poi state comunicate agli altri animali. Gli animali si sarebbero ancora riuniti la domenica mattina per il saluto alla bandiera, per cantare Animali d'Inghilterra e ricevere gli ordini per la settimana; non vi sarebbero state più discussioni. Nonostante l'emozione provocata dall'espulsione di Palla di Neve, gli animali furono costernati da questo annuncio. Molti di loro avrebbero protestato se fossero riusciti a trovare le giuste ragioni. Persino Gondrano si sentiva vagamente turbato. Abbassò le orecchie, scosse il ciuffo sulla fronte e fece un grande sforzo per raccogliere i suoi pensieri; ma infine non trovo nulla da dire. Alcuni maiali invece riuscirono un poco ad esprimersi. Quattro giovani porci in prima fila emisero acute strida di disapprovazione e tutti e quattro si alzarono e cominciarono a parlare assieme. Ma ecco che i cani accovacciati attorno a Napoleon fecero udire un profondo e minaccioso brontolio, e i porci tacquero e tornarono a sedere. Allora le pecore uscirono in un altissimo belato: «Quattro gambe, buono; due gambe, cattivo!» che andò avanti per circa un quarto d'ora e mise fine a ogni possibilità di discussione. Poi Clarinetto fu mandato in giro per la fattoria a spiegare agli altri la nuova sistemazione.

«Compagni» disse «io confido che ogni animale saprà qui apprezzare il sacrificio che il compagno Napoleon ha fatto prendendo sopra di é questo maggior lavoro. Non pensate, compagni, che la direzione sia un piacere! Al contrario, essa è una grande e pesante responsabilità. Nessuno più del compagno Napoleon crede che tutti gli animali sono uguali. Troppo felice egli sarebbe di lasciarvi prendere da voi stessi le decisioni. Ma potrebbe accadere che prendeste decisioni errate, e che avverrebbe allora? Supponete che voi aveste deciso di seguire Palla di Neve col suo mulino campato nella luna, Palla di Neve che, come ora sappiamo, altro non era che un criminale!».

«Ha combattuto valorosamente alla Battaglia del Chiuso delle Vacche» osservò qualcuno.

«Il valore non basta» disse Clarinetto. «La lealtà e l'obbedienza sono assai più importanti. E quanto alla Battaglia del Chiuso delle Vacche, credo che verrà un giorno in cui troveremo che la parte avuta da Palla di Neve fu molto esagerata. Disciplina, compagni, disciplina ferrea! Questa è oggi la parola d'ordine. Un passo falso, e i nostri nemici ci sopraffaranno. Certo, compagni, voi non volete il ritorno di Jones!».

Ancora una volta a questo argomento nulla si poteva opporre. Gli animali non volevano certamente il ritorno di Jones; se i dibattiti della domenica mattina potevano esporli a quel pericolo, i dibattiti dovevano cessare. Gondrano, che ora aveva avuto tempo di pensare, si fece portavoce del sentimento generale dicendo: «Se il compagno Napoleon lo dice, bisogna che sia così». E da quel momento fece sua la massima: «Napoleon ha sempre ragione» in aggiunta al suo motto personale: «Lavorerò di più».

Intanto la stagione avanzava ed era cominciata l'aratura di primavera. La baracca ove Palla di Neve aveva disegnato il suo progetto di mulino a vento era stata chiusa e si supponeva che il progetto stesso fosse stato cancellato dal pavimento. Tutte le domeniche mattina, alle dieci, gli animali si radunavano nel grande granaio per ricevere gli ordini della settimana. Il teschio del Vecchio Maggiore, ora ripulito di tutta la carne, era stato dissotterrato dal frutteto e posto su un ceppo ai piedi dell'asta della bandiera, accanto al fucile. Dopo l'alzabandiera, gli animali dovevano sfilare davanti al teschio in atto reverente prima di entrare nel granaio. Ora non sedevano tutti assieme come usavano fare nel passato. Napoleon con Clarinetto e un altro maiale chiamato Minimus, che aveva il notevole dono di comporre inni e poesie, sedevano sul fronte della piattaforma rialzata; i nove cani formavano un semicerchio attorno a loro e dietro si accomodavano gli altri maiali. Tutti gli altri animali sedevano loro dinanzi nel corpo principale del granaio. Napoleon leggeva gli ordini per la settimana con rude stile soldatesco e, dopo aver cantato per una sola volta in coro Animali d'Inghilterra, l'adunata veniva sciolta.

La terza domenica dopo l'espulsione di Palla di Neve gli animali furono sorpresi nell'udire Napoleon annunciare che, dopo tutto, il mulino a vento sarebbe stato costruito. Non diede alcuna ragione di quel mutamento di pensiero, ma solo avvertì gli animali che tale opera li avrebbe costretti a un ben duro lavoro; sarebbe stato anche necessario ridurre le loro razioni. Il progetto, tuttavia, era stato preparato fino all'ultimo particolare. Uno speciale comitato di maiali vi aveva lavorato nelle ultime tre settimane. Si prevedeva che la costruzione del mulino e di altre migliorie avrebbe preso due anni.

Quella sera Clarinetto, in via privata, spiegò agli altri animali che in realtà Napoleon non era mai stato avverso al mulino a vento, anzi, sua era stata la prima idea, e il progetto che Palla di Neve aveva disegnato sull'impiantito della baracca era stato effettivamente rubato dalle carte di Napoleon. Il mulino era, infatti, una creazione di Napoleon. é allora, chiese qualcuno, egli vi si era opposto con tanta veemenza? Quella, disse Clarinetto, era stata un'astuzia del compagno Napoleon. La sua opposizione al mulino non era stata che una finta, una manovra per sbarazzarsi di Palla di Neve il quale aveva un carattere pericoloso e una cattiva influenza. Ora che Palla di Neve non c'era più, il progetto poteva venire eseguito senza la sua interferenza. Questo, disse Clarinetto, è ciò che si chiama tattica. E ripeté molte volte: «Tattica, compagni, tattica!» saltellando qua e là e dimenando la coda con un'allegra risata. Gli animali non erano sicuri del significato della parola, ma Clarinetto si esprimeva in modo tanto convincente, e i tre cani che per caso erano con lui ringhiavano in modo cosl minaccioso che essi accettarono la spiegazione senza chiedere altro.

Capitolo VI
Come schiavi lavorarono gli animali per tutto quell'intero anno. Ma nel loro lavoro erano felici: non si lamentavano né di sforzi né di sacrifici, ben sapendo che quanto facevano era fatto a loro beneficio e a beneficio di quelli della loro specie che sarebbero venuti dopo di loro, e non per l'uomo infingardo e ladro.

Durante la primavera e l'estate lavorarono sessanta ore la settimana, e in agosto Napoleon annunciò che ci sarebbe stato lavoro anche nel pomeriggio della domenica. Questo lavoro sarebbe stato assolutamente volontario; chi se ne fosse astenuto però avrebbe avuta ridotta di metà la sua razione. Ma anche così non si riusciva a giungere a tutto. Il raccolto era stato un po' meno buono dell'anno precedente e due campi che avrebbero dovuto essere seminati a radici al principio dell'estate non erano stati seminati é l'aratura non era stata condotta a termine per il tempo voluto. Era prevedibile che l'inverno seguente sarebbe stato assai duro.

Il mulino presentava inattese difficoltà. Vi era nella fattoria una buona cava di pietre da calcina, e una quantità di sabbia e di cemento era stata trovata in una delle serre, così che si aveva a portata di mano tutto il materiale da costruzione. Ma il problema che gli animali non riuscirono sulle prime a risolvere fu il modo di spezzare le pietre in blocchi delle dimensioni desiderate. Sembrava che non vi fosse altro mezzo per far ciò all'infuori del piccone e della leva, strumenti che nessun animale poteva usare é nessuno poteva sostenersi sulle sole zampe posteriori. Solo dopo settimane di vani sforzi balenò a qualcuno la giusta idea: utilizzare, cioè, la forza di gravità. Enormi massi, di gran lunga troppo grossi per essere usati così com'erano, furono adagiati sul fondo della cava. Gli animali legavano loro attorno grosse funi, poi tutti assieme, mucche, cavalli, pecore, ogni animale atto a reggere una fune - perfino i maiali talvolta si univano agli altri nei momenti critici - li tiravano con disperante lentezza su per la china fino in cima alla cava da dove erano spinti giù nel baratro in fondo al quale si infrangevano. Trasportare le pietre una volta spezzate era cosa relativamente semplice. I cavalli le trasportavano coi carri, le pecore ne trascinavano un PEZZo alla volta, persino Muriel e Benjamin si aggiogavano a una vetturetta a due ruote e facevano la loro parte. Alla fine dell'estate era stata accumulata una sufficiente quantità di pietrame, e allora ebbe inizio la costruzione sotto la direzione dei maiali.

Ma il procedimento era lento e faticoso. Spesso occorreva tutta una giornata di sforzi estenuanti per trascinare un unico masso sulla cima della cava, e talvolta, lasciato cadere nel vuoto, il masso non si infrangeva. Non si sarebbe giunti a capo di nulla senza Gondrano, la cui forza sembrava pari a quella di tutti gli altri animali messi assieme. Quando il masso cominciava a scivolare e gli animali gridavano, disperati di sentirsi trascinare giù per la china, era sempre Gondrano che, tirando la fune, con sforzo supremo riusciva a salvare la situazione. Vederlo faticare su per la china, centimetro per centimetro, col respiro affannoso, la punta degli zoccoli affondata nel terreno e i grandi fianchi coperti di sudore, riempiva tutti di ammirazione. Berta lo ammoniva talvolta di stare attento a non affaticarsi troppo, ma Gondrano non le dava ascolto. Le sue due massime: «Lavorerò di più» e: «Napoleon ha sempre ragione» gli bastavano quale risposta a tutti i problemi. Aveva convenuto col giovane gallo di farsi chiamare al mattino tre quarti d'ora prima, invece di mezz'ora. E nei momenti di sosta, che non erano molti, adesso andava solo alla cava, ammucchiava un carico di pietre spezzate e lo trasportava presso il mulino. Gli animali stettero abbastanza bene durante quell'estate nonostante l'asprezza del lavoro. Se il cibo non era più abbondante di quanto lo fosse ai tempi di Jones, non lo era però meno. Il vantaggio di non dover pensare che a se stessi e non dover mantenere anche cinque prodighi esseri umani era così grande che ci sarebbero volute ben gravi privazioni per soverchiarne il valore. E in molti casi il sistema animale di fare le cose era più efficiente e risparmiava lavoro. Per esempio, la sarchiatura veniva fatta con una perfezione ben lungi dall'essere raggiunta dagli uomini. E ancora, dal momento che ora nessun animale rubava, non era necessario dividere i pascoli dai campi arati, risparmiando così una quantità di lavoro per la manutenzione delle siepi e degli steccati. Tuttavia col trascorrere dell'estate si cominciarono a sentire varie e impreviste deficienze. Vi era bisogno di petrolio, di chiodi, di corda, di biscotti per i cani, di ferro per ferrare i cavalli, e nessuna di queste cose poteva venir prodotta nella fattoria. Più tardi ci sarebbe pure stato bisogno di semente, di concime chimico, oltre a vari strumenti e, infine, del macchinario per il mulino a vento. Come ci si potesse procurare tutto questo nessuno riusciva a immaginarlo.

Una domenica mattina quando gli animali si radunarono per ricevere gli ordini, Napoleon annunciò di essersi deciso a una nuova politica. Da quel momento la Fattoria degli Animali si sarebbe messa in rapporti d'affari con le fattorie vicine, non a scopo commerciale, naturalmente, ma semplicemente per ottenere certi materiali che erano urgentemente necessari. «I bisogni del mulino devono prevalere su ogni altra considerazione» disse. Stava perciò trattando la vendita di una partita di fieno e di una parte del raccolto del grano di quell'anno, e dopo, se vi fosse stato ancora bisogno di danaro, avrebbe iniziato la vendita delle uova di cui, a Willingdon, si era sempre fatto mercato. Le galline, disse Napoleon, avrebbero fatto con piacere questo sacrificio quale loro particolare contributo alla costruzione del mulino.

Ancora una volta gli animali furono presi da una vaga inquietudine. Mai trattare con esseri umani, mai impegnarsi in imprese commerciali, mai far uso di danaro: non erano forse queste le principali decisioni approvate nella prima trionfante riunione dopo l'espulsione di Jones? Tutti gli animali ricordavano, o almeno credevano di ricordare, l'entusiastica approvazione di questi principi. I quattro maialetti che avevano protestato quando Napoleon aveva abolito le riunioni alzarono timidamente la voce, ma furono immediatamente ridotti al silenzio dal tremendo brontolio dei cani. Poi, come al solito, le pecore intonarono: «Quattro gambe, buono; due gambe, cattivo!» e il momentaneo sbigottimento si smorzò. Infine Napoleon sollevò la zampa per imporre silenzio e annunciò che aveva già concluso tutte le trattative. Non ci sarebbe stato bisogno che qualche animale dovesse venire a contatto con l'uomo, cosa evidentemente indesiderabile. Intendeva prendere tutto il peso sulle sue spalle. Un certo signor Whymper, avvocato a Willingdon, aveva accettato di agire da intermediario fra la Fattoria degli Animali e il mondo di fuori, e sarebbe venuto alla fattoria ogni lunedì mattina per ricevere istruzioni. Napoleon terminò il suo discorso col solito grido: «Evviva la Fattoria degli Animali!» e, dopo il canto di Animali d'Inghilterra, le bestie furono licenziate. Clarinetto fece poi un giro per la fattoria per quietare gli animi. Assicurò che mai era stata decretata, e neppure suggerita, la risoluzione di non fare operazioni commerciali e di non far uso di danaro. Era una pura fantasia di cui forse si poteva rintracciare il principio nelle menzogne messe in giro da Palla di Neve. Pure, alcuni animali restavano ancora dubbiosi, ma Clarinetto chiese loro astutamente: «Siete certi di non aver sognato, compagni? Avete qualche documento di quella decisione? E' scritta da qualche parte, forse?». E poié era certamente vero che nulla del genere era scritto, gli animali furono ben lieti di essersi sbagliati. Ogni lunedì il signor Whymper veniva alla fattoria, come era stato convenuto. Era un ometto dall'aspetto scaltro, con due lunghe basette ai lati del viso, un avvocato nel senso più stretto della parola, ma abbastanza astuto da aver capito prima di ogni altro che la Fattoria degli Animali avrebbe avuto bisogno di un mediatore e che ]a mediazione non sarebbe stata da disprezzarsi. Gli animali osservavano il suo andirivieni con una specie di terrore e lo evitavano il più possibile. Tuttavia la vista di Napoleon, che su quattro zampe dava ordini a Whymper che stava ritto su due, li riempiva di orgoglio e in parte li riconciliava con la nuova sistemazione. I loro rapporti con la razza umana non erano ora gli stessi di prima. Gli uomini non odiavano meno la Fattoria degli Animali ora che essa prosperava: anzi, l'odiavano di più. Tutti ritenevano come articolo di fede che presto o tardi la fattoria avrebbe fatto bancarotta e soprattutto che il mulino a vento sarebbe stato un insuccesso. Si radunavano nelle bettole e a mezzo di diagrammi si dimostravano l'un l'altro che il mulino era destinato a crollare, o, se rimaneva in piedi, non avrebbe mai funzionato. Eppure, senza volerlo, era nato in loro un certo rispetto per il modo con cui gli animali sapevano condurre i propri affari. Un sintomo di questo rispetto si rivelava nel fatto che avevano cominciato a chiamare la Fattoria degli Animali col suo nome e avevano smesso la pretesa che si chiamasse Fattoria Padronale. Né più si facevano paladini di Jones, che, perduta la speranza di rientrare nella sua proprietà, era andato a vivere in un'altra parte della contea. Se non attraverso Whymper, nessun contatto v'era ancora fra la Fattoria degli Animali e il mondo di fuori, ma correvano voci insistenti che Napoleon stesse per contrarre rapporti di affari con il signor Pilkington di Foxwood o con il signor Frederick di Pinchfield; ma mai, fu osservato, con tutti e due simultaneamente.

Intorno a quest'epoca, improvvisamente i maiali entrarono nella casa colonica e vi presero residenza. E ancora agli animali parve di ricordare che una decisione contraria a questo fosse stata presa nei primi tempi, e ancora Clarinetto seppe convincere che non si trattava precisamente di ciò. Era assolutamente necessario, disse, che i maiali, che erano il cervello della fattoria, avessero un posto tranquillo ove lavorare. Era anche più conforme alla dignità del Capo (é negli ultimi tempi egli aveva preso a designare Napoleon col titolo di "Capo") vivere in una casa che non in un porcile. Tuttavia gli animali furono turbati nell'udire che i maiali non solo prendevano i pasti in cucina e usavano il salotto come luogo di ricreazione, ma che anche dormivano nei letti. Gondrano commentò la cosa col suo solito: «Napoleon ha sempre ragione!» ma Berta, che credeva di ricordare un veto assoluto contro i letti, andò verso il fondo del granaio e cercò di decifrare i Sette Comandamenti là scritti. Sentendosi incapace di leggere più che singole lettere, si recò in cerca di Muriel.

«Muriel» disse «leggimi il quarto comandamento. Non dice qualcosa circa il non dover dormire mai in un letto?»
Con qualche difficoltà Muriel compitò.
«Dice: Nessun animale dovrà dormire in un letto con lenzuola» annunciò finalmente.

Caso strano, Berta non ricordava che il quarto comandamento avesse mai fatto menzione di lenzuola; ma poié così era scritto sul muro, così doveva essere. E Clarinetto, che per caso passava in quel momento seguito da due o tre cani, poté metter la cosa nella sua vera luce.

«Allora, compagni, avete udito che noi maiali dormiamo ora nei letti della casa colonica? E é no? Non supporrete certo che ci fu mai regolamento contro i letti! Un letto significa semplicemente un luogo su cui si dorme. Un mucchio di paglia in una stalla è, propriamente parlando, un letto. Il regolamento era contro le lenzuola che sono un'invenzione umana. Noi abbiamo tolto le lenzuola dai letti e dormiamo fra le coperte. E che letti comodi sono! Ma non più comodi di quanto faccia a noi bisogno, ve lo posso assicurare, compagni, con tutto il lavoro di cervello che ci tocca ora fare. Non vorrete privarci del nostro riposo, non è vero, compagni? Non vorrete che noi ci sentiamo troppo stanchi per fare tutto il nostro dovere! Certo nessuno di voi desidera il ritorno di Jones!»

Gli animali lo rassicurarono subito su questo punto e più nulla fu detto sui maiali che dormivano nei letti della casa colonica. E quando, qualche giorno dopo, fu annunciato che da quel momento in avanti i maiali si sarebbero alzati il mattino un'ora più tardi degli altri animali, non si levò lagnanza alcuna. Col giungere dell'autunno gli animali erano stanchi, ma felici. L'anno era stato duro e, dopo la vendita di una parte del fieno e del grano, i magazzini dei viveri per l'inverno non erano troppo pieni, ma il mulino compensava di tutto. Ora era quasi costruito a metà. Dopo la mietitura vi fu un periodo di tempo asciutto e sereno e gli animali raddoppiarono i propri sforzi pensando che valesse la pena affaticarsi tutto il giorno, avanti e indietro trascinando blocchi di pietra, se così facendo potevano alzare le mura di un altro piede. Gondrano usciva talvolta anche la notte e lavorava per un'ora o due al chiarore della luna piena. Nei momenti di riposo gli animali si aggiravano attorno al mulino a metà costruito, ammirando la robustezza e la perpendicolarità dei suoi muri e meravigliandosi di esser stati capaci di fabbricare una cosa tanto imponente. Solo il vecchio Benjamin rifiutava il suo entusiasmo al mulino, bené, come al solito, non dicesse nulla oltre la frase sibillina che gli asini hanno la vita lunga.

Venne novembre con rabbiosi venti di sudovest. La costruzione fu sospesa é era ormai troppo umido per poter mescolare il cemento. Una notte infine il vento si scatenò con tanta violenza che i fabbricati tremavano sulle loro fondamenta e le tegole volavano dal tetto del granaio. Le galline si svegliarono schiamazzando terrorizzate é tutte simultaneamente avevano sognato di udire in distanza un colpo di fucile. Il mattino seguente gli animali uscirono dalle loro stalle e trovarono che l'asta della bandiera era stata abbattuta e che un olmo presso il frutteto era stato divelto come un fuscello. Avevano appena osservato ciò, quando un grido di disperazione uscì dalla gola di ognuno di loro. Una vista terribile si parò dinanzi ai loro occhi: il mulino a vento era crollato.

In massa si precipitarono sul posto. Napoleon, che raramente si muoveva oltre il passo, correva in testa a tutti. Sì, il frutto delle loro fatiche giaceva là, raso al suolo dalle fondamenta; le pietre che avevano spezzato e trasportato con tanto duro lavoro erano sparse tutto attorno. Incapaci di parlare, fissavano tristemente quel mucchio di blocchi crollati. Napoleon passeggiava su e giù in silenzio, annusando ogni tanto il terreno; la sua coda si era fatta rigida e muoveva nervosamente, segno di intensa attività mentale. A un tratto si fermò come se fosse riuscito a concretare il suo pensiero.

«Compagni» disse quietamente «sapete chi è il responsabile di questo? Sapete chi è il nemico che è venuto stanotte e ha distrutto il nostro mulino? Palla di Neve!» ruggì all'improvviso, con voce tonante. «Palla di Neve ha fatto questo! Malignamente, credendo di distruggere i nostri piani e vendicarsi dell'ignominiosa espulsione, questo traditore, col favore della notte, si è introdotto qui e ha distrutto il nostro lavoro di quasi un anno. Compagni, io qui pronuncio sentenza di morte contro Palla di Neve. Eroe Animale di Seconda Classe e quattro galloni di mele a quell'animale che farà di lui giustizia; otto galloni a chiunque lo prenderà vivo!»

Gli animali furono oltremodo sdegnati nell'apprendere che Palla di Neve era colpevole di simile azione. Si alzò un grido di condanna e ognuno incominciò a pensare al modo di impadronirsi di Palla di Neve, se mai fosse tornato. Quasi subito, a poca distanza dalla collinetta, vennero scoperte le impronte di un maiale. Le tracce non si prolungavano che per pochi metri, ma parevano condurre a un foro nello steccato. Napoleon le fiutò accuratamente e decretò che erano di Palla di Neve. La sua opinione era che Palla di Neve fosse venuto dalla direzione di Foxwood.

«Non più indugi, compagni!» gridò Napoleon, dopo avere esaminato le impronte. «C'è lavoro da fare. Stamane stesso cominceremo a riedificare il mulino, e continueremo a fabbricare durante tutto l'inverno, piova o faccia sole. Insegneremo a quel miserabile traditore che non si distrugge facilmente il nostro lavoro. Ricordate, compagni, nessun mutamento deve essere apportato ai nostri piani: essi saranno tutti condotti a termine. Avanti, compagni! Evviva il mulino a vento! Evviva la Fattoria degli Animali!».


capitolo  VI  a  X

 

 

    BREVE Analisi e critica  

 

 

Il gigante dello streaming ha reso noto che    Andy Serkis    dirigerà una versione cinematografica de   La fattoria degli animali e ci assicura che l’adattamento sarà contemporaneo e metterà in evidenza la   sbalorditiva rilevanza   del potere satirico e drammatico del romanzo allegorico di Orwell .
maria paloschi - televisione.it - 2018

 

 

There were only four dissentients, the three dogs and the cat, who was afterwards discovered to have voted on both sides.
animals farm

 

 

 

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